La catena di Sant’Antonio, leggende e tradizioni

La catena di Sant’Antonio, leggende e tradizioni – Penso che sia successo a ognuno di noi trovare nella cassetta postale o ricevere per sms oppure per mail il suadente invito perentorio a diffondere un’invocazione a sant’Antonio: foriera di fortuna e successo ma anche, in caso di disobbedienza, di indicibili disgrazie.

Ci troviamo di fronte a un uso assai antico, che trae inizio dalla leggenda di un miracolo compiuto dal santo nella sua originaria terra portoghese.

Si tramanda che una donna in preda a forze demoniache venne fortemente insultata dal coniuge e appellata quale “ossessa”. La sfortunata sposa si decise così a porre fine alla sua esistenza, gettandosi nei flutti di un vicino fiume. Mentre però si recava al luogo scelto per il liberatorio suicidio, passò davanti a una chiesetta francescana, ove entrò per invocare il perdono divino su quanto stava per compiere.

Assorta nella preghiera, cedette al sonno e ricevette la visione di sant’Antonio il quale le consegnava un biglietto su cui era scritte le seguenti parole: “Ecco la croce del Signore. Fuggite, potenze nemiche! Vince Cristo, il leone della stirpe di Giuda, il virgulto dalla casa di David. Alleluia, Alleluia!” Il santo le raccomandò di custodire gelosamente lo scritto, assicurandole la guarigione: era uno dei c.d. “brievi” taumaturgici di cui si è parlato in un articolo di qualche giorno fa, a proposito del parto nel Medioevo.

Va precisato comunque che il testo del biglietto conteneva frasi tratte dalla Antifona III ad laudes per la ricorrenza del ritrovamento della Santa Croce che il vecchio breviarium romanum fissava al giorno 3 maggio. La donna rispettò i consigli ricevuti e guarì dalla possessione. Allorché suo marito le domandò spiegazioni, ella gli rivelò l’esistenza del brieve e lui corse a dare la notizia al sovrano del Portogallo. Questi desiderò vedere il miracoloso biglietto e, nonostante la promessa di renderlo alla legittima proprietaria, lo tenne per sé.

Ricominciarono dunque i malesseri della poveretta e solo grazie all’intercessione dei Frati Minori il re si convinse a consegnare alla donna una copia del biglietto originale, che sortì i medesimi effetti benefici.

Da questa pia leggenda ne sono sorte molte altre, come il ritrovamento di un oggetto smarrito, grazie a un’invocazione al santo e la recita di un Gloria. Anche in questo caso vi è a monte una credenza popolare. Sant’Antonio aveva preso asilo in un convento della Francia centrale, precisamente a Brive-la-Gaillarde. Un novizio che non riusciva a sopportare le privazioni della vita cenobitica fuggì dopo aver sottratto un prezioso volume: allora il santo, rammaricato dal gesto dell’abbandono e dal furto, si immerse in preghiera, chiedendo a Dio che il libro tornasse al proprio posto. Una settimana più tardi, il novizio fece ritorno al convento e restituì l’oggetto trafugato: raccontò che, in procinto di superare le acque di un torrente, gli si parò innanzi il diavolo, il quale gli intimò di riparare il peccato commesso se non avesse voluto morire all’istante.

In questa singolare leggenda il Maligno diventa collaboratore del bene, costretto a piegarsi, grazie alla preghiera di un santo, ai comandi delle potenze celesti positive.

Personalmente, ho sempre cestinato tutti i messaggi, seppure il pensiero di entrare in possesso di un po’ di soldi mi ha fatto tentennare per qualche attimo. Quanto agli smarrimenti, posso invocare tutte le divinità del pantheon mondiale, i santi e i beati di ogni sistema teologico – attuale e passato – nella consapevolezza del medesimo risultato finale: se in un paio di giorni non ritrovo ciò che ho perduto, vi debbo rinunciare in via definitiva. Mi capita di frequente, specie quando mi aggiro distratto per casa consultando le fonti da cui elaboro le notizie contenute nella rubrica che la Direzione di Oltre le Colonne mi ha gentilmente affibbiato. Dopo che ho scritto l’articolo, mi scordo di riposizionare il volume nella sua collocazione e, sistematicamente, esso scompare. Ho provato anche a risolvere il problema con lo studio delle dimensioni parallele in cui ripongo la massima convinzione, ma anche questo tentativo quantistico è risultato infruttuoso.

Non vi preoccupate, la mia biblioteca è ben fornita: allorché il mio nome più non apparirà tra i firmatari degli articoli del giornale vuol dire che sono rimasto in atteggiamento catatonico a contemplare gli scaffali vuoti.

Pazienza! Mi consolerò dedicandomi a una solenne ripulita di qualche centinaio di metri di scansie che, detto sinceramente, spolvero con superficialità e con frequenza quinquennale.

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