Usi e disusi del matrimonio medioevale – prima parte

Usi e disusi del matrimonio medioevale – prima parte – Recentemente, il Papa Benedetto XVI, parlando del valore cristiano della famiglia, ha tenuto a ribadire che essa consiste solo nell’unione eterosessuale secondo il rito cattolico: un principio stabile, irrinunciabile, un pilastro della società ecclesiale. E in precedenti interventi, il Santo padre è tornato sullo spinoso problema del matrimonio dei sacerdoti.

I tempi mutano e il diritto si evolve. Dovete sapere che nel periodo medievale, erede dell’impostazione romanistica, il ruolo della Chiesa non era decisivo nel sancire la legittimità del legame, bensì limitato a solennizzare un percorso già abbondantemente avanzato. L’elemento determinante consisteva infatti nella formale cessione della donna, che avveniva con gli sponsali (una sorta del nostro attuale fidanzamento), cui faceva seguito la consumazione sessuale, sovente sottoposta a pubblica constatazione: un uso rimasto in vigore almeno fino al 1700 e testimoniato dalla cerimonia “reveil du Roi” presso la corte del Re Sole. Ma proprio la crassa accettazione di una prassi così distante dai cardini dell’ortodossia di fede scatenò presto un’accesa riflessione a opera dei giuristi ecclesiastici. E tanto per non far torto ad alcuno, l’attenzione si incentrò prima di tutto sul matrimonio dei preti, vietato a pena di eresia negli anni 1075-1078, sotto il pontificato di Gregorio VII.

I consacrati reagirono storcendo la bocca e attuando pratiche “alternative”. Nel 1079, la Chiesa Romana proclamò la formale condanna di un’opera composta in forma anonima verso il 1060 dal vescovo di Imola Ulrico contro i progetti che sfociarono nella successiva proibizione. L’autore sosteneva che sarebbe stato un grave errore formulare un esplicito divieto, interrogandosi, quasi profeticamente, su quali nefaste conseguenze avrebbe provocato l’impossibilità per gli ecclesiastici di esercitare lecitamente la sessualità. Nello scritto – che riscosse un tale successo da essere clandestinamente diffuso in copie in Germania e in Inghilterra all’inizio del 1300 – Il quadro che se ne ricava è di formidabile attualità: sarebbe cresciuto il numero degli ipocriti, degli adulteri, degli incestuosi. Si sarebbero spalancati i cancelli alle perversioni e all’omosessualità. Il vescovo continuava, entrando nello specifico delle singole casistiche trasgressive, pur facendo uso di un certo tatto e discreto humour. Tuttavia, altro non faceva se non tradurre in immagini concrete le teoriche riflessioni su cui da alcuni anni dopo andavano riflettendo le menti più duttili della scienza ufficiale confessionale. Come dicevo, le resistenze clericali furono serrate e il divieto non applicato con scrupolo. Nel primo ventennio del sec. XII si calcola che quasi la metà dei sacerdoti fosse ancora coniugale o avesse messo al mondo figli ordinati sacerdoti; e, al volgere del nuovo secolo, in Inghilterra cominciarono a diffondersi piccanti racconti sui costumi privati di un arcivescovo e di sua moglie.

Ho recentemente ascoltato due barzellette che fotografano assai bene quella situazione. 1° “Cosa è la castità? È la virtù che i preti si tramandano di padre in figlio!” 2° “Chi chiama i preti con l’appellativo di ‘padre’? Tutti, meno i figli che li chiamano ‘zio’!”.
A fare però le spese dell’irrigidimento canonico in materia matrimoniale non furono soltanto i consacrati, ma soprattutto i laici: il primo in assoluto, il Re di Francia Filippo I, di cui vi parlerò in un’altra occasione.

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