Il movimento giovanile del ’77

Il ’77 ve lo ricordate? Cercherò di scrivere alcune righe per delineare in estrema sintesi il movimento giovanile del’77, ricordandomi che è ormai una pagina di storia, senza fare alcuna considerazione politica e senza cercare etichette e definizioni per quella generazione, ma attenendomi il più possibile ai fatti e alle idee dell’epoca, anche se entrambe le cose richiedono un minimo d’interpretazione. Sociologi, psicologi, giornalisti, scrittori hanno scritto diversi libri a riguardo. Di solito l’istantanea simbolo del’77 è quella di Simonetta Frau, allora studentessa ventiduenne, immortalata con un fazzoletto che le copriva parte del volto e che divenne icona delle ragazze del settantasette. Recentemente la Frau è scomparsa a sessantaquattro anni, stroncata da un male incurabile. Altra fotografia altamente rappresentativa dell’eversione di quell’anno è quella che ritrae Giuseppe Memeo, col volto coperto da un passamontagna, che nel corso di una manifestazione di autonomi impugna un’arma. Il sessantasette fu caratterizzato nell’ambito della sinistra extraparlamentare dal movimento studentesco, quasi sempre pacifico, e dagli autonomi. Ma esistevano, anche se in disparte, i giovani democristiani di Comunione e liberazione, di cui si è sempre parlato e trattato pochissimo. 

Il settattantasette iniziò con la fantasia, con le utopie e con la demagogia. Vanno ricordati a tal proposito i fricchettoni del Parco Lambro e gli indiani metropolitani, che rifiutarono quasi sempre la violenza e non fiancheggiarono mai le Brigate Rosse. Quella generazione riuscì ad essere propositiva non solo con i seminari autogestiti delle facoltà ma anche con la nascita delle radio libere. Le due colonne sonore di quel movimento furono “Ma chi l’ha detto che non c’è?” di Gianfranco Manfredi e “Ho visto anche degli zingari felici” di Claudio Lolli. I sessantottini erano i loro fratelli maggiori.

Ricordo che il movimento studentesco iniziò con il sessantotto. Confluirono nel settantasette le cose più disparate tra cui la controcultura americana, le filosofie orientali, il maoismo. C’era naturalmente  chi chiedeva la luna. Alcuni erano disfattisti. Andavano in gruppo nelle osterie e poi non pagavano. Altri chiedevano il ventisette politico. Altri volevano l’attacco al cuore dello Stato. Altri ancora rubavano nei supermercati. C’era chi riteneva giusti gli espropri proletari. I giovani universitari allora non frequentavano molto le lezioni. Finì tutto con gli scontri di piazza, le morti di Giorgina Masi e Francesco Lorusso, la cacciata di Lama, la p38 considerata come una compagna. Forse Tondelli, gli Skiantos, Claudio Lolli, Andrea Pazienza, nati nell’ala creativa di quel movimento studentesco, sarebbero stati lo stesso degli autori di rilievo da soli.

Il movimento covava nel proprio seno la serpe della violenza e ciò alla fine rovinò tutto. Era caratterizzato da troppe contraddizioni insanabili. D’altronde come scriveva Guccini a venti anni si ha la testa piena di balle. Non c’era perciò la piena consapevolezza. Non si poteva certo chiedere la responsabilità del buon padre di famiglia. Forse alcuni bempensanti non hanno mai approvato gli elementi ludici, trasgressivi, folcloristici di quel movimento. Di certo alcuni giovani del settantasette fraintesero la concezione di antifascismo militante di Berlinguer e coniarono lo slogan “uccidere un fascista non è reato”. Alcuni erano allo stesso tempo persecutori e perseguitati. Alcuni sessantottini non vedevano di buon occhio i giovani del’77. Di carne al fuoco quei giovani forse ne avevano messa tanta. Forse troppa. Forse era impossibile rielaborare tutti quegli input. Ma poi perché ricordare il ‘77 solo per quei giovani universitari ribelli e alcuni rivoluzionari? Oggi a distanza di tempo si potrebbe fare piena luce su quel periodo e su quei giovani. Bisognerebbe pacificarsi con il ‘77. Oggi quella generazione è stata rimossa, ma è l’ultima che riuscì a pensare sé stessa collettivamente. Attualmente i giovani della generazione Z sono molto più soli, sono molto più lasciati a sé stessi. Nel’77 i giovani stavano molto più in compagnia e nessuno era lasciato solo. Allora pochi soffrivano di solitudine e isolamento, mentre oggi siamo molto social e anche molto asociali. I giovani del’77 respiravano quotidianamente l’aria della rivolta e del cambiamento. Ciò portò anche a una deriva, alle conseguenze estreme. Oggi si potrebbe valutare criticamente quella generazione, ricordando che molte cose, culturalmente parlando, provengono  proprio dal ‘77. 

Poi ci fu il riflusso. Alcuni di quei giovani fecero lotta armata. Molti altri morirono con l’eroina. Ognuno divenne una storia a sé. Molti si imborghesirono. Il concetto principale del settantasette “il personale è politico” per una sorta di legge del contrappasso si invertì e la politica divenne un fatto personale. Va preso atto però che quella fu l’ultima generazione che ebbe una coscienza collettiva. Il movimento della Pantera o delle occupazioni negli anni novanta non era così rappresentativo di una generazione e non era così espressivo. Bifo, oggi professore ma allora uno dei leader studenteschi di quegli anni, ha dichiarato che il movimento del settantasette aveva come priorità la ricerca della felicità.  Per chi volesse approfondire l’argomento consiglio di leggere “Ali di piombo” di Concetto Vecchio, che si è documentato e ha narrato tutti gli avvenimenti e i protagonisti principali di quell’anno.

In definitiva che cosa resta del settantasette? Che cosa ci ha lasciato? Che cosa abbiamo ereditato? Le istanze di quel movimento sono state rimosse. Chi ha vissuto quel periodo ne ha nostalgia sicuramente e forse un grande senso di vuoto. Ancora oggi alcuni si chiedono se quei giovani erano veramente di sinistra e se volessero la rivoluzione o meno. È difficile imbattersi in una persona che dice di avere fatto il settantasette. C’è una certa ritrosia. Pochi ne vogliono parlare. Forse sono cambiati troppo i tempi e queste persone probabilmente hanno paura di non essere comprese o di essere giudicate male. Forse la distanza è incolmabile con i giovani di oggi ma anche con i quarantenni attuali. 

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