Una passante (pagina di diario del 2005)…

20 aprile 2005

La ragazza passa davanti al mio negozio tutte le mattine alla solita ora per recarsi in ufficio. È castana. Altezza media, capelli a caschetto, bel personale, bel viso.  Ha un incedere sicuro. Ha un passo svelto. Sembra molto sicura di sé. Molto probabilmente lo è davvero. Ogni tanto un amico o un conoscente la ferma e si mettono a parlare, a conversare del più o del meno. Ogni volta che passa inizia un gioco di sguardi molto intenso. I suoi sguardi mi inebriano, mi rivitalizzano.  Da giorni i miei pensieri sono tutti per lei. Occupa tutte le mie fantasie. Ho chiesto informazioni su di lei da una persona seria, che sa tutto di tutti nella cittadina. Mi ha detto che ha le sue storie, i suoi amanti. D’altronde una così bella ragazza ha molte occasioni, molte tentazioni. Tutti ci provano. Io so che passa di lì sempre al solito orario. Arriva da una viuzza laterale. Attraversa le strisce. Ho la vaga sensazione che si senta padrona del mondo, completamente artefice della sua sorte. Ho saputo che è di qualche anno più giovane di me. Non so dove abiti, né di chi sia figlia. La mia mente vaga. Rimugino delle fantasie erotiche su di lei. A volte faccio dei pensieri metafisici: mi chiedo cosa pensi veramente,  cosa desideri, quali progetti ha per il futuro. Mi piacerebbe fermarla per parlarle. Mi piacerebbe conoscerla, ma rimando sempre. Ogni giorno rimando al giorno dopo. Tutte le mattine e tutte le sere passa di lì. Io l’aspetto e nell’attesa mi fumo nervosamente una sigaretta. Ogni suo sguardo è ebbrezza, è promessa di felicità futura. A volte mi immagino di mettermi insieme a lei. Mi immagino di uscire, di fare l’amore, di convivere, di sposarmi, fare figli con lei. Fantastico nei molti momenti di tempo libero quando aspetto i clienti. Aspetto delle ore per vederla passare. I suoi passi, la sua vista scandiscono le mie giornate lavorative. Mi dico che non sono geloso, che anche se ha degli amanti, mi accontenterei che mi desse un’opportunità,  che facesse un piccolo spazio nel suo cuore. Le giornate lavorative scorrono lente e noiose. Spesso non so come passare il tempo. Lei forse sarà solo una passante. Mi chiedo perché lei mi ha colpito. Forse corrisponde al mio ideale di donna. Forse è questione di archetipi, di immagini primordiali. Forse non mi succede mai niente e un gioco di sguardi con una passante è un evento inatteso, inaspettato, lieto. I giochi di sguardi sono momenti da incorniciare nella mia memoria. Penso che lei la porterei a casa, la presenterei ai genitori e ai parenti. Mi piacerebbe costruire un progetto di vita con lei. Ma poi mi dico che sono solo un giovane ingenuo, che si è innamorato di una sconosciuta solo per l’aspetto fisico, solo perché lei mi ha apparentemente dedicato un minimo di attenzione. Io in fondo non la conosco. Passano i giorni e non cambia niente. La situazione non evolve. Un pomeriggio mi faccio coraggio, l’aspetto e la saluto, ma lei non ricambia il saluto, le dico qualcosa, bofonchio qualcosa, ma lei mi risponde con brutte parole. Il giorno dopo si presenta davanti al mio negozio con un tipo che dovrebbe essere il suo ragazzo. Si baciano alla francese appassionatamente. Lui mi dà le spalle. Lei è rivolta verso di me. Bacia lui, guarda me e mi sorride ironicamente. Ha vinto. La presa in giro è compiuta. Dirà in giro che io sono solo uno sfigato di merda,  un piccolo commerciante che l’ha mangiata con gli anni come un maniaco, che figuriamoci che una bella figura come lei si mette con me. Mi ha preso in giro perché sono anticomunista e lei comunista oppure perché le stavo antipatico oppure perché le hanno detto di prendermi in giro le sue amiche, i suoi datori di lavoro, forse una mia nemica. Non so cosa ci sia dietro e non lo voglio neanche sapere. Adesso lei può ridere di me, di un povero illuso o forse meglio  un povero cristo che lei ha illuso. Insomma io sono un cretino che ha puntato troppo in alto. Non bastavano gli estremisti di sinistra che mi minacciavano, che mi pedinavano. Il comunismo è anche vendetta sentimentale. Quella passante è il simbolo di una città che non mi capisce, che mi odia, che non mi ha mai dato niente, che persino mi diffama e mi isola. Lei è la locandiera di Goldoni, ma io non sono e non sarò mai un cavaliere di Ripafratta.  Ho una tristezza infinita nell’animo. Eppure io personalmente non le avevo fatto niente e allora perché prendersela con me? Chiamo lo psicoterapeuta perché sono depresso. Mi dice che devo fare una cura con degli antidepressivi. Dopo tre settimane sto meglio. La delusione è stata cocente, profonda, travolgente. Vado avanti per inerzia. Non ho scopo, né direzione nella mia vita. 

20 aprile 2024

Quella ragazza è ormai una donna attempata,  come io sono un omuncolo attempato. Si è sposata. Ha fatto un figlio. Vive in un paese vicino. Insegna in una scuola. La sua bellezza è sfiorita.  È soddisfatta della sua vita. Non la vedo da molti anni. Poi alla fine, come scrivevo anni fa, tutti gli amori finiscono nel dimenticatoio o in un logoro matrimonio. Eppure ero così vivo allora durante quei giochi di sguardi, perché noi  “si vive aggrappandosi a qualunque sguardo”, come canta Vecchioni. Sì. A qualunque sguardo di passante.  Il tempo passa. Il tempo risana le ferite, anche quelle più profonde nell’animo. Basta solo saper aspettare,  perché il tempo cancella il dolore per gli amori non corrisposti. 

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