I misteri di Castel del Monte

I misteri di Castel del Monte – Castel del Monte, un mistero ancora da svelare. Chi progetta un edificio mira, di norma, alla sua funzionalità intesa come rispondenza del manufatto agli obiettivi definiti dal committente. Ovviamente, ma solo in seconda battuta, terrà conto anche di altri parametri, di solito di carattere estetico ed economico. Ad esempio, una residenza in campagna deve essere prima di tutto comoda da abitare e semplice da gestire e poi, per quanto possibile, elegante e coerente con le disponibilità economiche del proprietario; analogamente una fortezza deve innanzi tutto essere facile da difendere e difficile da conquistare, poi di efficiente manutenzione e solo in ultimo, esteticamente gradevole nelle sue soluzioni architettoniche.

Questo preambolo si rende necessario per un monumento tanto famoso quanto enigmatico, che sorge in Puglia, nei pressi di Adria: Castel del Monte. Nonostante sia stato dichiarato “patrimonio dell’umanità” dall’Unesco e nonostante venga raffigurato in tutti i libri d’arte e di storia (il suo inconfondibile profilo ottagonale è riprodotto anche sulle monete da un centesimo di euro), sono pochi ad aver approfondito la sua storia ed i suoi incredibili misteri.

Castel del Monte, un monumento la cui struttura richiama l’esoterismo

Ebbene sì, sembra incredibile ma è così. Castel del Monte è un vero e proprio monumento all’esoterismo che ha impegnato generazioni di studiosi nel tentativo di dare una spiegazione ai suoi tanti misteri, primo fra tutti quello di capire a cosa fosse destinato.

Procediamo con ordine, elencando prima i dati oggettivi poi le interpretazioni che a questi sono state attribuite.

Siamo in presenza di un castello a due piani, uno in stile romanico l’altro in stile gotico, con otto torri ottagonali unite da due linee di mura che si configurano, in pianta, come due ottagoni inscritti l’uno nell’altro. Il più piccolo racchiude il cortile interno, al cui centro era posta in origine una vasca monolitica anch’essa ottagonale; il più grande rappresenta il perimetro esterno, che si affaccia sulla campagna con eleganti finestre (il piano superiore conta sette bifore e una trifora) e 117 feritoie.

Lo spazio tra i due ottagoni crea otto sale trapezoidali per ciascun piano. Vi sono cinque  cisterne e cinque delle 16 stanze sono dotate di camino, così come in cinque delle otto torri sono allocate altrettante toilette. Non vi sono sotterranei, ne cantine e nemmeno fossati o ponti levatoi.

L’edificio sorge su un piccolo poggio, creato più dall’uomo che dalla natura, quasi ad evidenziare che gli architetti lo volevano in quel punto preciso. E’ lontano da centri abitati e da strade importanti e questo era vero anche intorno al 1240, quando Federico II ne ordinò la costruzione.

Occorre precisare che l’intera struttura ci è pervenuta priva delle originarie decorazioni  (affreschi, pavimenti, sculture…) che spesso mancano del tutto per le ingiurie subite dagli uomini. Cominciarono gli Angioini che, in odio agli Svevi, arrivarono a scalpellare incisioni e fregi; continuarono i vari feudatari, che portarono nelle loro dimore marmi, bassorilievi e mosaici; completarono l’opera gli abitanti della zona, che utilizzarono il materiale lapideo per le proprie costruzioni. Il resto lo fece il tempo.

Fin qui i fatti. Subito dopo cominciano i problemi.

La struttura del Castello solleva dubbi e domande

La prima domanda cui è difficile dare una risposta riguarda la destinazione d’uso. Gli oltre 200 castelli che fece costruire Federico II hanno tratti architettonici omogenei, soluzioni ricorrenti: questo è completamente diverso da tutti gli altri. Non poteva avere funzioni militari: non controlla nessun sito strategico, non ha depositi per i viveri, ne stalle, ne fossato, ne ponte levatoio. In caso di assalto la finestre sarebbero risultate troppo larghe per la difesa e le feritoie troppo strette per offendere. Le scale a chiocciola, che da tre torri portano al piano superiore, sono antiorarie e questo, negli edifici militari dell’epoca, era accuratamente evitato perchè, impugnando i soldati la spada con la destra, ne sarebbero stati avvantaggiati gli assalitori invece dei difensori.

Altrettanto inspiegabile risulterebbe una destinazione civile. Non solo mancherebbero i già citati magazzini per i viveri e le scuderie, ma anche le cucine, i locali per la servitù e la tradizionale cappella tipica di tutte le residenze signorili di pari livello. Ne la località presenta particolari bellezze naturali. Insomma, usando i tradizionali parametri non si riesce a capire ne a cosa servisse ne perchè sia stato costruito proprio lì.

Ma quello che lascia più perplessi, sia nell’ipotesi civile che in quella militare, è la dislocazione  delle porte tra le sale del piano terra e tra queste ed il cortile: non tutte sono intercomunicanti, e solo tre si affacciano sul cortile. Si giunge all’assurdo che, dovendo passare da una sala a quella adiacente, il soldato o il servo era costretto ad un lungo e tortuoso giro che nel piano superiore è scandito dal passaggio attraverso porte con montanti e architravi modellati secondo precise lettere dell’alfabeto ebraico che sillabano Javhè. Si ha la netta percezione di un percorso obbligato e pieno di simboli, caratterizzato da un piano terra sostanzialmente buio e da un piano superiore particolarmente luminoso. Proviamo a leggere questo contrasto come una allusione al cammino dell’uomo ed al suo anelito a passare dalle tenebre dell’ignoranza alla luce del sapere, concetto ripreso, non a caso, da Dante: “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”.

Seguendo questa ipotesi si scopre che il tragitto inizia dall’ingresso, le cui misure sono chiaramente ispirate al numero aureo, e termina nella cosiddetta “sala del trono” al primo piano con l’affaccio su un grande bassorilievo (purtroppo perduto) che, dall’altra parte del cortile, raffigurava una dama in atto di ricevere l’omaggio di alcuni cavalieri. Sul suddetto bassorilievo i raggi del sole arrivano attraverso le finestre del primo piano solo l’otto ottobre, originariamente ottavo mese dell’anno.

Qui bisogna ricordare che Federico II era, soprattutto per i suoi tempi, un uomo molto colto, amante delle arti e delle scienze. I ministri ed i generali della sua corte scrivevano poesie (la famosa “scuola siciliana”) in onore di una donna idealizzata che molti identificano con la sapienza iniziatica, la stessa che Dante (raffigurato nelle monete di due euro) ed i cosiddetti Fedeli d’amore chiamavano Rosa Mystica. Si noti, al riguardo, che sul portale d’ingresso, come in varie altre camere, compare spesso la rosa, simbolo della conoscenza.

In un contesto di re e condottieri semi-analfabeti lui, che scriveva trattati sulla caccia, che parlava correttamente cinque lingue (italiano, greco, tedesco, arabo, latino), che aveva fondato le Università di Napoli e di Vienna, era stato soprannominato “stupor mundi”, sebbene i guelfi lo indicassero come “l’Anticristo” ed il papa come “il faraone”.

Federico II amava l’esoterismo, ne approfondiva gli aspetti matematici ed astrologici, materie nelle quali si avvalse dell’amicizia di studiosi del calibro di Leonardo Fibonacci e di Michele Scoto. Nel 1228 i Templari si offersero di incoronarlo imperatore del mondo; nel 1240 aderì alla “Pactio secreta” dei cavalieri che cercavano il Graal, l’Arca dell’Alleanza e i segreti dei faraoni che Mosè vi avrebbe riposto.

Fece scandalo che, in occasione della crociata impostagli dal papa, invece di versare il sangue degli infedeli, dialogasse con questi, ottenendo pacificamente l’accesso dei pellegrini in Gerusalemme. Ne rimediò una scomunica, per aver dimostrato più interesse alla scienza ed alla cultura araba che agli aspetti religiosi, politici ed economici della spedizione. Era inconcepibile, ed anche sospetto, che il campione della cristianità si confrontasse con tanta modestia non solo con i sapienti orientali ma anche con quei maestri sufi che, propugnando l’esistenza di un unico essere supremo, ridicolizzavano di fatto le lotte di religione.

Date queste premesse non sorprende l’interpretazione di Castel del Monte come un monumento alla conoscenza iniziatica, un messaggio che doveva affascinare gli uomini in proporzione al loro sapere, un’opera che solo un imperatore “illuminato” poteva concepire e costruire.

Il percorso iniziatico

Il tema del percorso iniziatico è supportato da molti altri particolari. Al piano terra c’è una camera pressochè buia (l’introspezione, il raccoglimento, il conosci te stesso necessario per intraprendere il cammino: l’equivalente del gabinetto di riflessione) dalla quale si accede alla cosiddetta camera dell’iniziazione. Questa conserva ancora sul pavimento le tracce di quattro cerchi magici corrispondenti ai quattro elementi: aria, acqua, terra, fuoco. Una curiosità: in questo ambiente molti visitatori avvertono malesseri e capogiri. Le moderne strumentazioni elettroniche hanno in effetti confermato valori elettromagnetici anomali: non è ancora chiaro se il fenomeno è legato al sottosuolo o a blocchi lapidei inglobati nelle spesse mura.

Ancora al percorso iniziatico sono da collegare la vasca del cortile che, probabilmente, dai termini bafè = immersione e mètis = saggezza (bafomet = battesimo di saggezza) ha alimentato il mito del demone Bafometto, che sarebbe stato adorato dai Templari. Demone che esaltati inquisitori avrebbero addirittura riconosciuto nella figura barbuta e cornuta scolpita nella chiave di volta del soffitto di una delle camere, laddove le corna sono in realtà orecchie d’asino con chiaro riferimento a re Mida ed alla sua leggenda centrata su una verità che non si può rivelare (il segreto cui sono tenuti gli iniziati).

Le iscrizioni, il numero magico, quello aureo e l’armonia

Un capitolo a parte meriterebbero le epigrafi, sistematicamente abrase dagli Angioini. La moderna tecnologia ha consentito di rileggerle quasi tutte ma, paradossalmente, i problemi sono aumentati. Le iscrizioni sono tutte fortemente ermetiche: solo chi possedeva la giusta chiave di lettura, solo un iniziato, poteva comprenderle mentre, di norma, in tutti gli edifici, pubblici e privati, si era soliti glorificare qualcuno o qualcosa a chiare lettere. E poi: visto che non ostentavano alcun blasone svevo, perchè scalpellarle con tanta pignoleria? Se la nuova dinastia voleva cancellare il ricordo di Federico II avrebbe dovuto distruggere l’intero castello. Forse gli Angioini, paladini del Papa e della ortodossia cattolica, vi lessero messaggi degni dell’Anticristo tanto combattuto? Concetti ritenuti eretici?

A questo punto è necessario aprire una parentesi. La cultura medievale, riprendendo Boezio Pitagora, e S. Agostino, sosteneva un legame diretto tra numero e armonia ovvero che la geometria e la matematica possono rendere percepibili le consonanze musicali. Di qui nasce l’idea che la perfezione divina espressa nei sette cieli che ruotano intorno alla Terra si manifesta con suoni celestiali. Di qui nasce l’attenzione alla scala musicale intesa come serie di frequenze multiple di quella della nota base: lo stesso meccanismo viene riprodotto nelle cattedrali coeve dove la misura base (spesso la lunghezza della navata) determina le altre misure di riferimento con gli stessi rapporti delle note musicali. Ecco quindi che la correlazione tra numero, suono e forma trova espressione concreta nell’architettura che oltre tutto, grazie alla pietra, rende il messaggio duraturo nel tempo. In questo contesto, permeato di cultura e di filosofia, partendo dal quadrato (simbolo dell’uomo, della materia) e dal cerchio (simbolo della perfezione, del divino, della spiritualità), l’ottagono viene percepito come la ricerca del divino da parte dell’uomo: si privilegia nei battisteri la pianta ottagonale, si modella ad ottagono la corona imperiale, si rappresenta in matematica l’infinito con un otto orizzontale.

Tutto ciò può spiegare l’ossessivo richiamo al numero otto ed all’altro numero “magico” che in Castel del Monte è altrettanto ricorrente: il numero aureo, ovvero 1,618. Questa “divina proporzione” riscontrata nel corpo umano (la distanza tra gomito ed unghia moltiplicata per 1,618 dà la lunghezza dell’intero braccio, l’altezza dell’ombelico per 1,618 dà l’altezza totale, la larghezza della bocca diviso per 1,618 dà la larghezza del naso.…), ma anche nel mondo vegetale (il rapporto tra lunghezza e larghezza di molte foglie, come quelle delle rose, è 1,618) ed animale (ad es. nelle conchiglie marine), era già nota agli scultori ed agli architetti greci che l’avevano usata nelle proprie opere come canone estetico; troverà ulteriore fama con l’uomo “vitruviano” disegnato da Leonardo (oggi coniato sulle monete da un euro), dove testa, mani e piedi formano un pentagono all’interno di una circonferenza, e sbalordirà la scienza moderna quando scoprirà che l’elemento base del nostro DNA ha lunghezza e larghezza nel rapporto 1,618.

A Castel del Monte ci imbattiamo spesso nel numero aureo a cominciare dall’ingresso che  è una elaborazione del rapporto aureo e del pentagono, definito da Pitagora come la trasposizione in geometria del corpo umano. E proprio sul muro a destra dell’ingresso è scolpito il triangolo pitagorico avente i lati nel rapporto tre, quattro, cinque. Ed inoltre: le basi dei trapezi che formano le sale sono nel rapporto 1,618. Il già citato bassorilievo con la dama è un rettangolo i cui lati corrispondono alle radici quadrate di 8 e di 1,618. Ancora più interessante risulta il riferimento astronomico: se dalla terrazza del castello si segnano all’orizzonte i quattro punti corrispondenti alla posizione del sole all’alba ed al tramonto in occasione dei solstizi d’estate e d’inverno, si ottengono i vertici di un rettangolo i cui lati sono ancora nel rapporto 1,618.

Chi ha progettato l’edificio ha determinato col sole molte altre misure. Il  portale d’ingresso è rivolto ad oriente ed affiancato da due colonne su cui altrettanti leoni guardano il levar del sole nei due solstizi d’estate e d’inverno. Un bastone piantato come gnomone disegna sul suolo, un’ora prima e un’ora dopo il mezzogiorno degli equinozi, un angolo di 45° ovvero il lato di un ottagono inscritto in un cerchio. Se come gnomone utilizziamo invece il muro del castello, alto m.20,50, ci accorgiamo che a mezzogiorno dell’equinozio di autunno la sua ombra coincide con la larghezza del cortile mentre negli altri mesi scandisce altri parametri di base del complesso (dimensioni della vasca interna, delle sale, delle recinzioni esterne): è come se la mappa dell’edificio venisse disegnata direttamente dal sole.

In tanta matematica precisione l’ottagono formato dalle torri è volutamente irregolare: la diagonali interne formano un angolo non di 45° ma di 47°. E’ un chiaro riferimento alla precessione degli equinozi ed all’angolo del cono disegnato dall’asse terrestre nella sua rotazione: come una trottola che, ruotando, fa oscillare il suo asse di rotazione di 23° e mezzo. Il fenomeno celeste era considerato un simbolo di vita, perchè da esso trae origine l’alternarsi delle stagioni, e come tale era spesso riportato nelle costruzioni sacre. Ad esempio nelle cattedrali di Chartres, di Bitonto e di Payns il messaggio è affidato all’inclinazione dell’asse della navata rispetto alla direttrice Est-Ovest.

Poichè molti dei su citati riferimenti di tipo astronomico sono possibili solo in quel preciso punto geografico (più precisamente: a quella latitudine), ciò spiegherebbe, secondo molti, perchè il castello sia stato costruito proprio in quel luogo così insolito.

Esiste una ricca letteratura sui misteri di Castel del Monte: sarà sufficiente ricordare gli studi di Aldo Tavolaro e di Dario Dall’Aere. Certo qualche interpretazione è, se non forzata, almeno improbabile: ad es. è tutto da dimostrare che siano state create 117 feritoie per richiamare il numero di versetti del Cantico dei Cantici, oppure che la scritta PDP debba leggersi Periculum Decede Peritis (pericolo: cedi il passo a chi è esperto). Ma sono tali e tanti i richiami esoterici, e qui ne abbiamo accennati solo alcuni, da rendere legittima l’ipotesi di una sorta di tempio laico alla scienza ed alla conoscenza, l’equivalente delle Bibbie di pietra tramandateci nelle sculture e nelle simbologie delle cattedrali. E’ realistico, dato il contesto storico e la personalità dell’imperatore, che Federico II abbia voluto veramente immortalare la sua sapiente ed esoterica raffigurazione del legame tra uomo, natura e divinità.

Consapevoli di non poter trasmettere al lettore una verità, possiamo almeno confidargli una  esperienza: la visita a Castel del Monte risulta tanto più interessante quanto più preparata prima e meditata dopo.

di Celestino Grassi

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