Come nasce la poesia?

La poesia nasce come una piccola folgorazione inaspettata nell’animo e nella mente. È qualcosa che spunta fuori, riemerge all’improvviso. Ma da dove viene la poesia? Dal basso o dall’alto? Alcuni scomodano Dio, altri pensano allo zampino del diavolo. Da cosa nasce?  Dall’inconscio, dalle sovrastrutture o dal cielo? Poesia è spaesamento, spiazzamento, straniamento prima di tutto per il poeta stesso, che si stupisce di quel pensiero appena abbozzato,  di quella sensazione nuova. È una sorpresa, che non sappiamo dove origina, insomma. Sto camminando nella mia zona, alla Sozzifanti. Ci sono le prime avvisaglie della primavera. La temperatura è mite; il tepore dei raggi di sole lo avverto sulla mia pelle, nonostante un vento leggero. Percorro le solite vie. Faccio l’itinerario di sempre.  Giro l’angolo.  Mi fermo un istante a osservare una casa disabitata da ristrutturare. È una viareggina. Sono passato altre volte da quella strada, ma non mi ero mai accorto di quella legna accatastata vicino a dei gradini, né di quella palma ormai secca nel piccolo giardino. In quel momento è sorto in me l’inconsueto nel consueto. Spesso si tratta di osservare le cose inosservate. Io non sono un poeta, ma queste immagini fanno scaturire in me l’idea che la poesia deve nascere da qualcosa che avevamo anche prima sotto gli occhi e di cui non c’eravamo minimamente accorti. La verità consiste spesso nel guardare con occhi nuovi la stessa identica realtà quotidiana, invece di guardare cose nuove con gli stessi occhi.  Non bisogna cercare altrove. La verità non va cercata lontano, perché spesso è lì, nascosta, a portata di mano. Spesso la verità è nascosta nel noto. Si tratta di compiere un’azione di disvelamento più che di scoperta. Bisogna spesso solo cercare nel già noto, nel già visto, invece di approdare altrove, verso nuove realtà.  Spesso si tratta di riconoscere il già conosciuto, invece di conoscere il nuovo. Che poi a una certa età se tutto il mondo è paese e le cose della vita sono le stesse per tutti e in tutti i luoghi, ha davvero senso cercare il nuovo? E poi il nuovo non è anche e soprattutto ciò che non avevamo ancora intuito, pur avendolo conosciuto? Quante volte ho contemplato quella casa distrattamente e superficialmente, visto che alcuni particolari mi erano sfuggiti? Una volta nella mia libreria ho trovato in un volume di poesie una lettera di trent’anni fa di una mia ex compagna di università. Quelle poche righe scritte con una bella calligrafia mi hanno riportato alla mente quei giorni e persone, voci, volti, ormai riposti in un angolo impolverato della memoria. Il nuovo è quindi riaffiorato dal vecchio, da una libreria che pensavo di conoscere a menadito.  Spesso si tratta di spolverare ricordi, di ritrovare dei pensieri ed emozioni: la poesia è prima di tutto scavo interiore. Il caso fa anche la sua parte e in questo senso ho sempre pensato che essere poeti prima ancora di essere una scelta è un destino, non solo per la necessità di scrivere versi di alcuni ma per l’importanza cruciale degli accadimenti e delle circostanze esterne. Montale non a caso intitolò la sua seconda raccolta “Le occasioni” e talvolta sono proprio le occasioni o la loro mancanza a fare di uno  un poeta e di un altro no. La vita è fatta di incontri e di istanti decisivi, ma bisogna anche saperli riconoscere e valorizzare. Anche questo mettere a frutto le poche occasioni che, bene o male, abbiamo tutti fa di una persona un poeta. Il poeta vero coglie al volo tutte le occasioni oltre a cogliere ciò che altri non colgono!  Tutti noi abbiamo avuto delle delusioni sentimentali, ma solo i grandi poeti hanno scritto dei canzonieri su di esse. Ciò è così vero che spesso sorge in me una domanda: ma a cosa mi è servito soffrire, se non sono diventato un grande poeta? Sono soprattutto i fatti della vita che rendono alcuni poeti e altri no, al di là dell’attitudine e della vocazione. Ma poi l’attitudine, la vocazione, la passione non sono anch’esse destino? Un poeta deve prima di tutto essere un osservatore attento e un contemplatore partecipe delle cose, degli altri, di sé stesso. Deve saper alternare questi momenti di attenzione alle assenze interiori. Infatti un buon poeta deve sapersi concentrare, ma talvolta anche saper riposare la psiche, mettendo la mente in stand by. A un poeta non si può certo chiedere di assorbire tutto il dolore, l’orrore del mondo. Non si può chiedere la partecipazione totale. Il peso del mondo è insostenibile per chiunque e la concezione che i poeti siano persone molto più sensibili di altre è solo un falso mito; spesso le persone rimangono esterrefatte che alcuni poeti siano insensibili ai loro problemi. I poeti  sono persone come tutte le altre, che cercano di rappresentare il mondo con le parole. Niente altro che questo! Poesia è riportare alla luce, ma questo è solo il primo passo. I grandi poeti partono da questo e poi con i loro versi illuminano i lettori. La poesia vera dà luce nei nostri animi e nelle nostre menti. E ci riporta alla luce quelle cose, quei pensieri, quei sentimenti che anche noi avevamo vissuto e provato, ma che non eravamo riusciti a cogliere pienamente e a esprimere. Di grande poesia ce n’è poca. La grande poesia è rarissima. Zanzotto diceva che è difficilissimo per i poeti trovare il ramo d’oro. La bravura di un poeta sta in questa felice intuizione di quello che noi esseri comuni non avevamo intuito, se non in forma inconsapevole, inconscia e al contempo nell’esprimere ciò che in noi fino ad allora ritenevamo inespresso, addirittura inesprimibile. Insomma il grande poeta esprime intuizioni fino ad allora inespresse; naturalmente lo deve fare con stile e conoscendo la tradizione. Fatte salve queste premesse, buona poesia e buona fortuna! 

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