Valerio Vecchi: credo nella meritocrazia e nel mio futuro vedo ancora Tv per dare voce a chi ha talento

Valerio Vecchi nasce il 26 febbraio 1994 a Mede, in provincia di Pavia, e fin da piccolo si diletta in spettacoli teatrali sotto l’ombra del campanile.

È proprio dalla “gavetta” del teatro parrocchiale che nascono progetti ben più ambiziosi, la voglia di vivere ogni giorno il mondo dello spettacolo, di esserne parte integrante vestendo i panni di attore e autore sul palco e poi quelli di autore e conduttore negli studi televisivi.

E proprio in tv lo abbiamo ritrovato nei giorni scorsi intervistato dal giornalista Massimo Martire all’interno della trasmissione Notizie Oggi in onda su Canale Italia.

Valerio, sono state tante le tematiche emerse durante la tua intervista, prima fra tutte la disabilità…

Credo sia un tema sottovalutato. Io ho avuto la fortuna di conoscere dei ragazzi disabili che hanno saputo trasmettermi tanto. C’è innocenza, purezza, altruismo e soprattutto sincerità nei loro occhi e qualsiasi altro termine sarebbe riduttivo: ti fanno stare bene. Sembrano sparire i tuoi pensieri, ansie e preoccupazioni. Godi di sorrisi sinceri e abbracci spontanei, in una società che sembra essersi dimenticata di questi valori. Torni a casa carico, diverso, vivo. Oggi più che mai bisogna parlarne, soprattutto per il “dopo di noi”, ovvero quando manca la famiglia e nessuno riesce a prendersi cura di loro.

Era del resto impossibile non chiederti qualcosa anche del tuo secondo romanzo Il sorriso degli elefanti (Le mille e una pagina editore) con cui sei tornato in libreria.

Questo libro tenta di strappare un sorriso sincero, proprio come quello di cui parlavo poco fa. Il sorriso degli elefanti nasce come una sfida con me stesso, scavare nel passato, in me, per riportare a galla tutti i giudizi e i pregiudizi, tutte le porte in faccia. Non a caso nel libro si trovano stralci di “diario”, una formula che ritengo originale ed in grado di dare veridicità al racconto. Grazie all’intesa con Laura Fedigatti (l’editrice) sono potuto rientrare ancora una volta nelle case delle persone, stare lì, appoggiato qualche ora sul loro petto, sul loro cuore. Un libro dedicato alla forza delle donne e a due donne in particolare. Una storia semplice, nata dall’esigenza di lasciare un messaggio che possa essere d’aiuto, o meglio, di stimolo a non arrendersi mai.

Nel libro parli di meritocrazia e in diretta hai parlato di tradizione contrapposta al qualunquismo… spiegaci meglio.

Purtroppo è vero. Via via, le tradizioni vanno scemando. Io cerco nel mio essere tradizionale di “bussare sempre alla porta” di chi mi interessa raggiungere, senza mezzi termini e soprattutto senza secondi fini. È lì che si distingue la creatività, la voglia di emergere, di essere parte integrante di un progetto sia televisivo che editoriale. Nello stesso tempo la tradizione è soffocata dal qualunquismo: libri in uscita associati al lancio di un brand, ad esempio. Qual è la vera storia? Che esigenza c’è di raccontare? Viene stimolata la creatività? Non credo. Finisce tutto per essere un mero prodotto commerciale, una buona campagna di marketing a breve termine. A me piace avere una progettualità lavorando sempre a medio/lungo termine.

Durante l’intervista, arricchita anche da telefonate di telespettatori e telespettatrici in diretta, è emerso il concetto di solidarietà. Qual è la tua opinione al riguardo?

“La carità è paziente, benevola è la carità. Non è invidiosa, non si vanta non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse” (Cor).

Faccio di questa mia frase, tratta dalla lettera ai Corinzi, il mio motto. Tutti possiamo, quel poco o tanto, assaporare il concetto di solidarietà. Facciamolo in modo silenzioso, donando tempo a chi ne ha bisogno, non solo denaro. La solidarietà è aprirsi al prossimo, aiutarlo. A volte si è troppo stanchi per farlo, ma la stanchezza diventa energia quando anche un semplice sorriso incontra il nostro sguardo.

Abbiamo capito che ami particolarmente la diretta televisiva perché permette di entrare in contatto e in ascolto con chi è a casa. La tv deve essere un momento di condivisione?

Io ho sempre amato donare del tempo agli altri, cambia il modo di vedere le cose. Il perenne contatto con la società, la vita quotidiana di paese ti mettono di fronte a diverse soluzioni. Impari sulla tua pelle il “problem solving” che nessuno ti insegna e completi la tua formazione così. La diretta tv, con la possibilità di confronto immediato con il telespettatore, permette quello: devi avere la risposta pronta, essere un grande moderatore allo stesso tempo. Sono fermamente convinto che un’apertura al pubblico su format di questo tipo sia il futuro.

Infine, ti è stato chiesto cosa “farai da grande”: qual è stata la tua risposta?

Prendere tutto quello che la vita ha da regalarmi, nel mondo della comunicazione. Approfondire gli aspetti, consolidare gli studi, seguire corsi e continuare incessantemente a bussare alle porte. Un vero comunicatore è versatile, sa adattarsi e reinventarsi. In tv, su un palco, in libreria non ci sono finito per caso, ma perché volevo farlo. Da grande, voglio fare “Valerio”, che non perde l’entusiasmo, che non si arrende e che guarda al futuro con slancio. Nel concreto, vorrei dedicarmi alla tv, a quei programmi che parlano di sentimenti e talento, di meritocrazia. Vorrei dare voce a quante più persone possibili e non essere più, il loro, come il mio, un grido inascoltato.

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