Magazzino San Salvario: quando il suono è di un mestiere pregiato

Quel pop rock anni ’90, italiano in tutto e per tutto, dentro cui la distorsione e il bel modo di chitarre elettriche si contrappone alla melodia pulita, scanzonata, leggera e popolare. Il tutto innestando liriche di società e di amore, di vita vissuta e sogni eternamente bambini… e l’ironia non manca come nel singolo “Europa chiama Italia” con una featuring d’eccezione a firma di Federico Sirianni. Sono i Magazzino San Salvario, band di veterani forti di belle radici nella scena musicale torinese, quella che conta evidentemente… e da veterani ci attendiamo un sono sicuro e “pulito”, senza sbavature e senza incertezze. E tutto questo torna, come tornano i grandi classici nel corredo delle soluzioni melodiche.

Ascoltando questo disco ci sembra che sia sempre sul ciglio della porta una certa scanzonata disperazione della società italiana. Possiamo dirlo oppure sono solo mie impressioni?
Ti faccio i complimenti, perché “scanzonata disperazione” è un magnifico ossimoro che definisce molto bene il nostro atteggiamento nei confronti del Mondo. Da un lato siamo molto critici e pure preoccupati nei confronti di alcune derive che sta prendendo la nostra società; dall’altra però abbiamo sempre diffidato da chi si prende troppo sul serio, e siamo convinti si possa parlare di cose importanti anche senza per forza essere seriosi. Tutto il disco, nelle sue dieci tracce, è costruito sull’alternanza di questi due stati d’animo, proponendo brani dalle atmosfere intense con testi intimi ed introspettivi, a cui seguono invece canzoni decisamente più scanzonate ed irriverenti; ma attenzione, anche in questi casi dietro un’apparente leggerezza si nasconde sempre una riflessione più profonda.

E in fondo quanto c’è di sociale dentro questo disco?
Tantissimo. Penso che uno dei compiti fondamentali di chi scrive canzoni sia anche quello di raccontare la realtà che ci circonda e la società in cui viviamo, magari stigmatizzandone i difetti per stimolare nel pubblico una riflessione. Talvolta Noi lo facciamo in modo duro e diretto con testi decisamente impegnati, altre volte invece per raggiungere questo obiettivo preferiamo ricorrere all’ironia. Non a caso, nella nostra formazione musicale, a parte il rock, è stata fondamentale anche la lezione di alcuni grandi cantautori italiani, da Bennato a Rino Gaetano, passando da Gaber a Jannacci, giusto per citarne alcuni, che hanno fatto dell’umorismo (nel senso pirandelliano del termine) un’arma tagliente con la quale affrontare anche argomenti e tematiche sociali molto importanti. Ultimamente tuttavia spiace però constatare che certa critica non sia più del tutto in grado di cogliere ed apprezzare una simile sfumatura e spesso l’ironia viene confusa con la superficialità; pare dunque che ormai l’atteggiarsi ad artista “serio e socialmente impegnato” sia diventato l’unico modo per essere considerato tale.


Con Pietro Giay nella produzione del disco: col senno di poi che tipo di risultato sentite d’aver raggiunto?
Lavorare con Pietro è stato bellissimo; un’esperienza davvero particolare perché è la prima volta in vita nostra che ci siamo trovati a collaborare con un produttore più giovane di noi, e pure di tanto!!! Tutti abbiamo in mente lo stereotipo del produttore classico alla George Martin con i Beatles, e cioè l’uomo più esperto e maturo che consiglia i giovani musicisti. Tra noi è Pietro invece questo ordine naturale si è invertito, con esiti e dinamiche molto interessanti e pure divertenti. Lui è mostruosamente preparato dal punto di vista tecnico e musicale ed unisce una grande conoscenza della tradizione alla piena padronanza dei nuovi mezzi a disposizione. Sono sicuro che prossimamente farà cose notevolissime e mi auguro che ne possa fare ancora insieme a noi. Per quanto riguarda questo disco, credo la qualità del risultato finale abbia raggiunto un livello altissimo, abbastanza difficile da riscontrare in altre autoproduzioni di questo tipo; forse in certi momenti, con il senno di poi, avremmo potuto osare di più dal punto di vista delle sperimentazioni, cosa che ci ripromettiamo di fare in futuro. Per concludere, se volete ascoltare un pezzo in cui si sente molto la mano di Pietro allora prendete “Oceano Mare” che non a caso risulta essere uno dei brani più interessanti e particolari dell’intero album.

“Europa chiama Italia” con il featuring di Federico Sirianni: quanto siamo lontano dal progresso di tanta parte di mondo?
Con il brano “Europa chiama Italia” mettiamo in ridicolo quel tipico provincialismo dell’italiano medio nel porsi di fronte al Mondo. Per la registrazione del brano e pure del video abbiamo coinvolto Federico Sirianni, con cui siamo amici da più di vent’anni, e che ha subito colto lo spirito ironico della canzone, prestandosi al gioco. Considero Federico uno dei migliori cantautori del panorama italiano, e trovo davvero magnifico l’effetto straniante che produce la presenza di un artista del suo peso in un pezzo come questo. In particolar modo prendiamo in giro l’italiano in vacanza, una categoria antropologica che andrebbe studiata. Anche immerso in luoghi magnifici e città che trasudano cultura e tradizione, il vero turista italiota cerca comunque una pizzeria nei paraggi ed in fondo rimpiange la vita tranquilla e monotona del suo paesino di provincia. L’Italiano in vacanza è stato per anni il simbolo di una nazione spensierata che si è crogiolata troppo a lungo nel falso mito del progresso e del benessere economico. Oggi la situazione è radicalmente cambiata, ed in qualità di padre di tre figli (di cui due bambine) assisto a tutto ciò con grande preoccupazione per il futuro.

In fondo siamo davvero dei “Cavernicoli”? E quanto ci farebbe bene ritornare ai centri sociali?
Purtroppo sì, o per lo meno ne siamo circondati. I cavernicoli sono le persone che agiscono in base agli istinti primordiali; sono tutti quelli che di fronte al diverso, che sia un immigrato o un omosessuale, impugnano la clava lasciando libero sfogo all’intolleranza; sono gli ultras allo stadio che durante una partita di calcio insultano e augurano la morte ad un avversario; sono quelli che legittimano l’uso della violenza per farsi giustizia e che in preda alla gelosia ammazzano la donna che gli sta affianco. Ma come dice la nostra canzone, i cavernicoli siamo tutti noi, una civiltà senza memoria incapace di imparare dalla propria storia e dai propri errori. Pensavamo di aver per sempre scongiurato il pericolo della guerra, e invece guarda cosa sta succedendo in Ucraina; pensavamo di aver esorcizzato il fascismo e invece ci ritroviamo con un governo che a quell’ideologia guarda dichiaratamente. Per quanto riguarda i “Centri Sociali” ti posso dire che quella è stata per me un’esperienza formativa importantissima. Nel corso degli anni ’90 ho avuto la fortuna di suonare in tutti i principali Centri della penisola e ho respirato una vitalità, un impegno attivo, una coerenza rispetto ai propri valori, di cui oggi si sente la mancanza e di cui ci sarebbe tanto bisogno per arginare la deriva sociale e culturale in atto. Per non parlare poi della componente musicale, là dove il movimento delle Posse, nato proprio nei Centri Sociali, fu decisivo nello svecchiare la stantia scena musicale italiana di allora.

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