La raccolta poetica “Al centro della piena” di Nicola Romano

Nicola Romano (Palermo, 1946-2022) è stato giornalista pubblicista e condirettore del periodico “Insieme nell’arte”. È stato anche un poeta pluripremiato e riconosciuto anche da grandi nomi come Dante Maffia e Paolo Ruffilli, che sono molto severi, selettivi e non scrivono prefazioni a chiunque (tanto per essere chiari). Si notano infatti subito le capacità espressive, figurative, evocative dell’autore, rafforzate da una curiosità intellettuale non comune. Certamente non so definire l’impulso, i moti interiori che hanno spinto Romano alla poesia, ma mi basta leggerne il risultato compiuto, la gestalt finale. Mi basta che il poeta mi abbia messo sotto gli occhi nuovi aspetti della realtà, perché è questo che devono fare i poeti. Il libro, edito da “Il ramo e ĺa foglia” è uscito postumo. Ma andiamo per ordine. Innanzitutto il poeta scrive endecasillabi e settenari sciolti, dando dimostrazione di perizia metrica senza cadere in un ipermetrismo presente a volte in chi utilizza le forme chiuse: la sua libertà di espressione è perciò incanalata nelle regole della tradizione, ma non scade mai nell’ossessione pedante. Scrive Neria De Giovanni nella prefazione: «La poesia di “Al centro della piena” è certamente frutto di un intellettuale che ama la sua terra siciliana, la descrive, la respira, ne trae ora aiuto ora sollievo; un intellettuale che non si nasconde dietro la realtà biografica dolorosa, quale quella della malattia, ma che utilizza la stratificazione delle letture precedenti per fornire a se stesso sufficiente e matura motivazione a continuare a esistere». La poesia di Nicola Romano affronta il dolore e la malattia, rielaborandole, filtrandole, sublimandole e in definitiva superandole. Non c’è traccia alcuna di vittimismo, autocompiacimento, autocompatimento. Non vi è quella che Sanguineti chiamava effusione. Anzi il poeta rivela compostezza e grande dignità umana, mentre invece oggi molti esibiscono senza ritegno il corpo, il dolore, talvolta enfatizzando, talvolta addirittura spettacolarizzando. Eppure l’autore quando ha scritto questi versi presentiva la fine! La cosa che mi fa rabbia in alcuni è il civettare con la morte, quello che un tempo si chiamava anelito di morte, di cui il Nostro fortunatamente è totalmente sprovvisto. Comunque è già difficile per un poeta decente oggettivare stati d’animo effimeri ma qui l’autore oggettiva completamente la propria condizione psicologica ed esistenziale: rende oggettiva la propria soggettività, evitando l’impersonalità presunta della poesia di ricerca. Il poeta trova una via tutta sua tra impressionismo ed espressionismo, escludendoli entrambi dalla sua arte. Non c’è narcisismo o vanagloria in questa raccolta. Il poeta anzi scrive: “e – come mai accaduto – / sentirsi in colpa per una poesia / che toglie il tempo / a una preghiera”. Se c’è una cosa fondamentale che caratterizza questa poesia è la compresenza ottimale di distanza emotiva e partecipazione umana, una mistura ben dosata, dovuta a mio avviso a un’attitudine innata e poi arricchita dalla cultura solida e dall’amore per la poesia: qualità molto rare tra gli autori di oggi, che a volte sono troppo freddi, impostati e altre volte non riescono a frapporre il giusto distacco tra loro e il mondo, la vita. Questa è una poesia che affronta il male a ciglio asciutto, senza ammiccamenti e senza istigare al sentimentalismo. La postura autoriale è equilibrata, priva di titanismo autoesaltante e di depressione neocrepuscolare. È un poeta quindi che parla al cuore dell’uomo, mettendo in luce la sua interiorità senza intimismo e ripiegamento interiore. È una poesia a mio avviso completa dove interno ed esterno confluiscono e interagiscono in un continuo flusso dinamico. Ma che cos’è la piena di cui tratta il titolo, se non la vita con le sue asperità? La piena in fondo è il picco più alto del dolore. Tutti, prima o poi, veniamo travolti dalla piena. L’autore però ci ha lasciato questi bei versi che sono sia testimonianza che testamento. Resta a noi raccoglierne l’eredità poetica e umana. Come scrive Romano:

REVISIONI

Dopo il suo attento volgere
compunto e misurato
sarà davvero piena
e perfetta la vita
debordante di senso
conchiusa per intera…

…e come ritenerla
tutta in buona grafia
quadrata e incomparabile
mezzo fiore all’occhiello
composta ed esauriente
sino all’ultima soglia

Il talento del poeta si esprime in un linguaggio accurato, preciso, ma questa sua esattezza nella parola non rinuncia mai alla chiarezza del dettato, appresa da Alfonso Gatto (alcuni suoi versi sono nell’esergo) e Caproni. Oserei dire che Romano si rivela sincero e schietto nei suoi versi. Non ci sono mai cadute di tono né di stile. La raccolta si caratterizza per la coerenza interna e per la voce inconfondibile. Romano è un cantore delle bellezza della sua Sicilia ma anche un poeta che non si limita a essere monotematico, a fare il compitino, riuscendo a essere onnivoro, a trattare tutte le tematiche esistenziali e metafisiche, senza appesantire i suoi componimenti con rovelli e intellettualismi. Voci, volti, luoghi, circostanze si amalgamano e costituiscono il nucleo di questa raccolta, trascendendo però il mero autobiografismo, perché gli accadimenti sono solo materia della vita e non essenza della poesia. Il poeta dà il meglio di sé in molte clausole finali, intrise di grande lirismo, e rifuggendo sempre la tentazione del colpo a effetto, dell’aforisma in versi, della massima sapienziale definitiva, perché il genere della poesia aforistica non lo sente suo: non intende la poesia come ricerca di leggi generali ma come espressione autentica di sé e come rappresentazione del mondo. A una prima lettura mi ha colpito subito la tenuta psicologica, l’alta concentrazione, la riflessione estenuante che ci sono a mio avviso volute per scrivere queste poesie: insomma il lavoro che c’è stato dietro. Mi si scusi per l’analogia sportiva ma il poeta è come un tennista che gioca tutti i punti come se fossero dei matchpoint e riesce quindi a stare sempre in ascolto della sua voce interiore, delle voci del mondo, riuscendo così a tramutare in versi i momenti topici della vita, che lo ispirano. Spiccano infatti in questi versi anche molte intuizioni felici. Romano è un poeta ancorato alla tradizione del Novecento, ma che ha saputo anche assimilare tutte le innovazioni migliori di questi primi anni del Duemila e ha davvero ragione Roberto Maggiani nella postfazione a scrivere che il Nostro si situa tra il classico e il nuovo di questi ultimi anni: una posizione intermedia di un neolirico che fa vera ricerca poetica, feconda e creativa, che deriva in parte dall’esperienza ma molto anche da un atteggiamento di apertura mentale, che si avverte in queste poesie e che ne è la premessa, anche se mai dichiarato, mai esplicitato.

 

SENSAZIONI

Può darsi che io sia
torrente che
non gonfia fiumi e mari
o forse un misto
sciapo e sfilaccioso
come d’erba morella…

…e può darsi che io sia
una muta concrezione
su questo lembo
di sale e di zabbàre
o ammasso di frammenti
caduti da meteore infocate
e radenti
le immensità più nere

Sono di certo
molli sensazioni
strascico di pensieri
prove di smarrimento
quando passione urla
e tutto tace

DIFFIDA

Non toccarmi i silenzi
che continuo a crearmi
col sangue delle attese
e con gli occhi inchiodati
senza sguardo
ai muri della stanza

Non turbarmi i silenzi
mentre sto per capire
come tornare al centro delle cose
e non sviarmi le scene
mentre ancora scandaglio
la luna irripetibile di ieri

Sono cari silenzi
ambìti e necessari
istanti in cui s’avverano
risolvenze e parole
salvate dallo strepito
della pioggia
che scuote le lamiere

 

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