Intervista allo scrittore catanese Francesco Cusa

“VIC” è il nuovo libro dello scrittore catanese Francesco Cusa, pubblicato da Algra Editore. Il romanzo è una sorta di diario surreale scritto in prima e terza persona, popolato dai personaggi “estremi” d’una provincia “estrema”. La copertina del libro, realizzata dal musicista e filosofo Pier Marco Turchetti, riassume nello spazio del disegno tutta la vicenda umana e sovrumana del romanzo.

Gli abbiamo rivolto qualche domanda per saperne di più sul suo ultimo libro.

Ciao, grazie per la tua disponibilità. Cominciamo con una breve presentazione: raccontaci, chi è Francesco Cusa?
Ho sempre scritto, fin da giovane. Anche se sono più conosciuto come musicista, questa dello scrittore è per me divenuta una professione da circa una decina di anni, quando ho deciso di rendere pubbliche le mie opere letterarie sotto forma poetica, saggistica, poi esplorando l’aforisma, il racconto ed il romanzo. A spingermi sono stati molti amici e conoscenti. Se ho un rimpianto, forse, è quello di non aver cominciato prima. Poi, certo c’è tutta la mia carriera da musicista, critico letterario e cinematografico ecc. Ma occorrerebbero molte altre interviste…

Quali sono gli scrittori del passato e del presente a cui guardi come modelli? E quelli che ami come semplice lettore?
Come citare tutti? Ne cito alcuni limitandomi ai romanzieri: De Sade, Hugo, Bernhard, Dante, Carver, Roth, Dostoevskij, Nabokov, Gadda, Proust, Flaubert, Kafka, Landolfi, ecc. Ultimamente leggo molta più saggistica, e mi interesso di filosofia ed esoterismo: Wirth, Sloterdijk, Zizek, Knight, Preve, Byung-chul Han, Spinoza, Thoreau, ecc.

“VIC” è il nuovo romanzo edito da Algra Editore. Ci presenti il tuo nuovo libro?
Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità. Forse è giunto per consentirmi di esplorare alcuni aspetti oscuri della mia coscienza.

Qual è il messaggio che hai voluto veicolare attraverso la tua opera?
Il Sacro è parte carsica del nostro tempo “scientifico”, permea le nostre vite, la vita di Vic, in maniera carsica, sotterranea. Vic è una sorta di osceno pontefice che opera fra le maglie del linguaggio, funge da catalizzatore di una determinata polarità. Rispetto alle società del passato, immerse nella trascendenza e soggiogate dal mito, la nostra contemporaneità pare aver rimosso la magia, l’irrazionalità dal proprio quotidiano. Ma questa è solo l’apparenza; sotto la scorza della morfologia dell’essere del 2021, operano diversi strati: l’ancestrale misterioso delle civiltà del passato, l’Aletheia, il sapere che sfugge alle maglie della razionalità. Vic è un uomo conficcato in una realtà metafisica, la cittadina di Cotrone, che potrebbe ricordare la “Twin Peaks” lynchiana, ed in essa vive, in una temporalità contraddittoria, a fianco dei vivi e dei morti. In questo senso è un personaggio negativo che si oppone alla positività priva di limiti (e perciò logorante) della normalizzazione, l’ultimo baluardo identitario contro l’omologazione.

Vincitore del Festival Internazionale del Libro e della Cultura Etnabook 2021 – Sezione Poesia. Raccontaci questa esperienza?
Che dire, è stato davvero bello vincere il primo, il secondo e il quinto premio della sezione “Poesia”, soprattutto quando ogni scrittore poteva presentare al massimo tre poemi. Confesso che è stato anche un po’ imbarazzante gestire il dentro-fuori della cerimonia, il microfono e le targhe che man mano mi venivano consegnate accumulandosi… certamente una bella soddisfazione.

Cosa significa per te scrivere e raccontare storie?
Esplorare nuovi mondi, sondare i limiti percettivi e della fantasia. Compito di ogni artista è quello di scavare, con picconi, zappe, mani e unghia, di divorare l’esistente, di non lasciare spazio alla tergiversazione. Ogni artista compie gesti totalizzanti e assoluti. Scrivere è una vocazione non un lavoro, e produce lacrime di estrema gioia. Solo da queste lacrime possono sgorgare stille di senso. È un costante lavoro di scavo teso sa rimuovere le macerie della psicanalisi per penetrare più a fondo nella ricerca: è il campo dello sciamano, del visionario, del Magus, dei veri speleologi dell’Anima.

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