Il richiamo del dirupo, romanzo d’esordio di Mìcol Mei

Il richiamo del dirupo è il romanzo della scrittrice Micol Mei, pubblicato dall’editore Miraggi. L’autrice, torinese di nascita, si trova alla sua prima pubblicazione, con un testo promettente e dall’intreccio tanto originale quanto magnetico. Micol Mei non è soltanto un’autrice talentosa: dall’arte contemporanea, passando per il cinema e la fotografia, con sguardo sempre volto a individuare nuovi linguaggi con cui esprimere le proprie idee e veicolare le proprie battaglie, può definirsi un’artista a tutto tondo.

Sul suo sito e negli account social di Micol Mei, infatti, si parla soprattutto di arte e cinema, e l’autrice non manca mai di prendere una posizione quando c’è da schierarsi, di esprimere la propria solidarietà sempre in supporto dei più deboli – come d’altronde accade nella sua prima opera letteraria.

«Se ho imparato una cosa buona da lei, è che la tragedia col passare del tempo diventa farsa, perciò tocca sorridere quando grandina»

Le battaglie del Richiamo del Dirupo e l’originalità del plot

Se di battaglie parliamo, infatti, anche all’interno del Richiamo del dirupo è possibile individuare temi cruciali quali la depressione, l’auto-accettazione, la solitudine. Tematiche note al mondo contemporaneo e che oggi trovano sempre maggior ragione di essere discusse e sviscerate.

Il plot dell’intreccio è molto interessante: un ambiguo annuncio comparso sui giornali attira l’interesse di quattro personaggi singolari. Il misterioso autore ha deciso di rendere disponibile il suo ormai decadente Pallido rifugio per un breve soggiorno e una sorta di assistente si occuperà di visionare i profili dei candidati. Si tratta di una dimora immensa, costruita davanti all’immensità dell’orizzonte marino, una casa vittoriana che metterà a dura prova i villeggianti e che si rivelerà per loro fonte di continue sorprese e scoperte.

I personaggi principali del romanzo

A rispondere all’annuncio sono Mila, Egon, Beniamina e Udri. Sono quattro personaggi singolari poiché singolari (e al contempo universali) sono i mali che li affliggono, come quello del giovane Udri, che per una insolita malattia è condannato a un pallore bluastro che l’ha sempre escluso dal mondo. Singolari, loro, come la richiesta di Felice Hernandez, l’autore dell’annuncio: l’unica cosa che chiede in cambio a a chiunque accetterà l’ospitalità presso Il pallido rifugio è la redazione di una specie di diario personale, che tenga traccia delle giornate trascorse nella villa – e che nello stesso momento sia in grado di monitorare i cambiamenti in cui si imbatteranno le loro anime.

Sono le anime di quattro personaggi costruiti magistralmente, anime che hanno perso tutto e che non sanno più dove cercare la pace. Anime dimenticate, abbandonate da tutti e prossime ad abbandonarsi loro stesse; ma in fondo disposte a qualunque cosa, ancora, anche agli atti più estremi, per riuscire a salvarsi. Lo stesso Pallido Rifugio potrebbe essere considerato come un personaggio, tanto è caratterizzato e funzionale ai ruoli dei personaggi. In questo luogo ameno, il tempo sembra procedere disordinatamente, di passato in presente, fino a confondere sia gli stessi inquilini che i lettori.

I “richiami” del Dirupo

Ciò che più colpisce rispetto alla lettura del Richiamo del dirupo è la capacità di Mei di approcciarsi all’opera con razionalità e di fondervi dentro una arte senza limiti. Poiché dentro Il richiamo del dirupo la musica, la pittura, la scrittura, e la vita si fondono in un tutt’uno per dar vita a qualcosa di straordinario, una narrazione in grado di smuovere anche l’animo del lettore ostinato. Inoltre, il modo in cui vengono raccontate le storie non può che essere il frutto di uno studio meticoloso, della contemplazione di altre letterature, poeti ed arti che prepotentemente si inseriscono nell’organizzazione della storia.

Lampante è il richiamo ad autori del calibro di Proust (specie nella modalità in cui Mei utilizza il tempo narrativo, dilatandolo a suo piacimento), ma è facile ritrovarvi anche un po’ di alcuni dei più grandi capisaldi del genere gotico, prime fra tutti Ann Radcliffe e Mary Shelley. Di certo l’opera di Mei non può essere definita semplicemente gotica, ma a prescindere, a volerlo inquadrare nei limiti di un preciso genere letterario, forse, nessuno potrà fare meglio. È un libro che sottintende così tanto e che esplora più generi contemporaneamente, dal romanzo epistolare, al romanzo noir fino al romanzo psicologico e introspettivo. Un libro che lascia il segno e che è difficile dimenticare facilmente.

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