I film di Michele Sambin a Palazzo Pretorio di Cittadella

I film di Michele Sambin a Palazzo Pretorio di Cittadella – Il 07 luglio 2018 alle ore 18.00 la sala conferenze di Palazzo Pretorio di Cittadella (Padova) ospiterà la proiezione di alcuni dei capolavori di Michele Sambin che hanno segnato la storia produttiva di Sirio Luginbühl influenzandone lo stile e l’espressività. Durante la serata saranno proiettati i film  Anamnesi, (1968, Super8, col., sonoro, 15’51’’), 1 e 2, (1969, Super8, col., sonoro, 8’54’’), Laguna, (1971, Super8, col., sonoro, 30’), Film a strisce (La petite mort) (1976, 16mm, col., muto, 3’), Diogene (1977-2016, 16mm e video digitale, col., sonoro, 5’32’’, Congiunzione astrale, omaggio a Sirio, ricostruzione in digitale del film perduto di Sirio Luginbühl).

Courtesy dell’artista (tutti i film saranno proiettati in DVD);

Alle ore 21.00, invece, si potrà assistere alla sonorizzazione live di Blud’acqua (1972, 16mm, col., 25’) da parte del gruppo Arke Sinth (Francesco Bergamo, batteria; Antonio De Zanche, contrabbasso; Marco Sambin, sax tenore; Michele Sambin, sax alto e violoncello).

L’evento si inserisce nella ricca rassegna di proiezioni di film sperimentali e d’artista, nell’ambito della mostra “Sirio Luginbühl: film sperimentali”, che ogni due settimane porterà a Palazzo Pretorio alcuni dei capolavori degli autori più cari a Luginbühl: Andy Warhol, Stan Brakhage, Gerry Schum, il gruppo Fluxus (George Maciunas, Nam June Paik, Wolf Vostell, Yoko Ono e altri), Paolo GioliMichele Sambin.

La rassegna è a cura di Guido Bartorelli e Lisa Parolo che presentano le proiezioni con la collaborazione di Marco Santi e Federica Stevanin.

Ingresso gratuito.

MICHELE SAMBIN E LA SUA PRODUZIONE CINEMATOGRAFICA

Come racconta lo stesso Michele Sambin in più occasioni, l’uso della pellicola deriva dalla necessità che egli sente sin dall’inizio della propria produzione, di studiare e approfondire entrambe le sue vocazioni primarie: la pittura/visivo e la musica/sonoro. «Per non separare i due linguaggi – racconta Sambin – decisi di dare un tempo alle immagini attraverso il movimento in modo che si potessero legare alla musica». Da qui l’utilizzo della pellicola che l’artista impiega molto precocemente nel suo percorso. Ha infatti solo diciassette anni quando realizza il suo primo filmAnamnesi (1968), nel quale già si notano i segni caratteristici che accompagneranno la ricerca successiva. Nell’opera, una vera e propria anamnesi della malattia del protagonista (l’artista) in cui vengono spiegate le ragioni del suo isolamento e il conflitto tra vita attiva e vita contemplativa, la relazione tra la colonna sonora e le sequenze narrative è fondamentale per interpretarne il senso. Questo è chiaro soprattutto nella seconda parte del film, quando ogni personaggio con il quale il protagonista dialoga è introdotto da un accompagnamento musicale specifico che ne identifica il contesto di appartenenza (contadini, giovani, operai, religiosi, conservatori) senza che sia necessaria una voce narrante.

Sempre in Super8 Sambin realizza le due opere successive proposte durante la rassegna, 1 e 2(1969) e Laguna (1971). Entrambi i film sono caratterizzati da una ricerca specifica sul rapporto tra immagine e suono: nel primo, strutturato su quattro sequenze principali, la contrapposizione tra immagini e suoni contribuisce a enfatizzare il tema centrale, ovvero le differenze tra borghesia e proletariato, tra i politici e i soldati mandati a rischiare la propria vita, tra chi uccide indirettamente dal proprio salotto di casa e chi invece lo fa direttamente sul campo. In Laguna (1971, altrimenti intitolato Sulla laguna), invece, la forte componente politica scompare e le sequenze sono apparentemente prive di un vero e proprio ordine narrativo. In questo modo è sottolineato più esplicitamente il ruolo sperimentale del film, un vero e proprio studio del suono e della sua relazione con l’immagine evidente sin dalla prima scena – che ritorna più volte – in cui una giovane donna in primo piano muove le labbra ma dal labiale non escono parole, bensì i suoni di un clarinetto modificato.

Nel 1972 Sambin conosce Sirio Luginbühl ed inizia a far parte della Cooperativa di Cinema Indipendente di Padova. In questo stesso periodo l’artista acquista una nuova cinepresa, non più Super8 ma 16mm, con la quale, grazie anche al contributo dell’Università Internazionale dell’Arte di Venezia e del Centro Cinematografico Scientifico Didattico di Padova, realizza Blud’acqua (1972). Il film tratta ancora di relazioni: tra la città di Venezia e i suoi abitanti; tra le immagini e i suoni; e tra i colori e la loro valenza simbolica. Come nel film precedente, anche in questo la chiave di lettura è rappresentata da alcune sequenze ripetute consistenti nello sviluppo grafico di quattro quadri astratti i cui colori variano dal nero al bianco. Si passa quindi dall’assenza di colore – che rappresenta la staticità e la mancanza di relazioni – alla presenza di tutti i colori e, dunque, alle infinite possibilità relazionali. Quanto avviene tra i colori è ciò che Sambin auspica accada anche tra la città e suoi abitanti. Il tutto è enfatizzato dal crescendo del ritmo del montaggio, a dimostrazione di un uso attento e sperimentale del linguaggio cinematografico. Il suono accompagna questo climax e in alcuni casi è sostituito dalla sonorizzazione live eseguita dal gruppo Arke Sinth di cui facevano parte, oltre a Sambin, il fratello Marco, Francesco Bergamo, Gianni de Poli e Alvise Vidolin.

A partire dal 1974 Sambin inizia ad usare il dispositivo video grazie al contatto con Paolo Cardazzo, direttore della galleria del Cavallino di Venezia, ma fino al 1977 continua a realizzare alcuni film passando dal linguaggio documentale – Murales (1974) – a quello più “tradizionale” – Scala F, Interno 19 – e chiudendo con Film a strisce (1976) e Diogene (1977). Il primo è strutturato su un linguaggio visivo astratto realizzato attraverso l’uso di filtri neri forati, posti di fronte all’obiettivo della cinepresa in movimento e sonorizzato sempre dal vivo. Nel secondo, Diogene (1977), quasi completamente muto (verso la fine si ode un lieve battito che riproduce quello cardiaco) l’artista si identifica con il filosofo greco Diogene che si ritira a vita contemplativa dentro una botte, con una lanterna che avrebbe dovuto aiutarlo a far luce sui veri e propri uomini. Riportato al tempo dell’artista, la botte si trasforma in una FIAT 500 familiare bianca e la lanterna è la cinepresa, strumento di indagine che lo aiuta a fare luce sul mondo e su sé stesso, dal campo lungo al primo piano. Nella riedizione del 2016 presentata alla rassegna di Palazzo Pretorio alle immagini riprese e montate in 16mm nel 1977 si aggiungono quelle realizzate ex novo dall’artista nel 2016. Da qui la nuova datazione (1977-2016).

BIOGRAFIA

Michele Sambin è musicista, pittore e regista. Ha portato avanti una ricerca incentrata sul tema delle relazioni tra suono e immagine. Nei primi anni ‘70 focalizza la propria attenzione sulle possibili intersezioni tra cinema, musica, video. Con le sue opere partecipa a rassegne e festival nazionali e internazionali. Nel 1980 con Pierangela Allegro e Laurent Dupont ha fondato Tam Teatromusica diventandone il direttore artistico. Per Tam ha curato regie, scene e musiche.

INFORMAZIONI UTILI SULLA MOSTRA “SIRIO LUGINBUHL: FILM SPERIMENTALI”:

TITOLO DELLA MOSTRA: Sirio Luginbühl: film sperimentali

A CURA DI: Guido Bartorelli e Lisa Parolo

SEDE ESPOSITIVA: Palazzo Pretorio – Via Marconi 30 – Cittadella (PD)

Fino al 15 luglio 2018

GIORNI E ORARI DI APERTURA: martedì: 15:00 – 19:00; da mercoledì a sabato: 9:00 – 12:30 / 15:00 – 19:00; domenica: 10:00 – 19:00

Catalogo a cura di Guido Bartorelli e Lisa Parolo

INGRESSO GRATUITO

Articolo precedenteMaryam, la donna dell’incontro
Articolo successivoSagra della pecora: anche menu senza glutine nel doppio week-end dedicato ai sapori di Fabrica di Roma