Elia Rossi: a 15 anni la voglia di scrivere

Così Elia Rossi parla della scrittura: Scrivere è un modo per mettere alla prova quegli oggetti della coscienza: scegli un’idea, una sola tra le tante, e provi a vedere se regge la messa a fuoco, se sopravvive alla luce in esterno della parola scritta…

Qual è il suo rapporto con la scrittura? Per me la scrittura è come un setaccio della coscienza. La mente è una fornace che produce oggetti a getto continuo, senza tregua, per automatismi associativi che non tengono conto delle priorità del presente. Puoi stare di fronte alla Gioconda e trovarti a pensare a come si chiamava quel supplente con i sandali che te ne aveva parlato in terza elementare. Cerchi di non pensarci, ma ti è impossibile. E’ difficile vedere realmente le cose del presente quando si è distratti da questo costante rumore bianco.

Scrivere è un modo per mettere alla prova quegli oggetti della coscienza: scegli un’idea, una sola tra le tante, e provi a vedere se regge la messa a fuoco, se sopravvive alla luce in esterno della parola scritta. Magari scopri che per te il nome di quel supplente in terza elementare è davvero più significativo della Gioconda: è una storia che conta e che merita una ricerca ulteriore delle parole giuste per essere raccontata; oppure ammetti che era solo l’ennesimo tentativo della tua mente di evadere dal presente, ti mangi le mani e speri di avere una nuova occasione per andare al Louvre a rimediare…

Che relazione c’è tra la scrittura e la società? Penso che valga la regola dell’alpinismo. In modo malizioso, chiesero a un grande alpinista perché si prestasse a così tanti spot pubblicitari. Quello rispose che, avendo la necessità di finanziare le proprie imprese, l’alternativa sarebbe stata chiedere contributi pubblici. Disse che ciò gli sembrava scorretto perché, dopo aver valutato le proprie motivazioni, aveva dovuto ammettere che la ragione per la quale scalava montagne era il semplice appagamento personale. Penso che per i libri funzioni come per le grandi ascensioni alpinistiche: sono operazioni personali che hanno ricadute tendenzialmente personali, anche se, qua e là, capita che una di queste operazioni finisca per fornire informazioni stupefacenti sulla nostra realtà.

Può capitare che un alpinista scopra una via che unisce due popoli o che un libro scoperchi una parte di società che restava in ombra da decenni, magari addirittura un meandro del carattere umano inesplorato da secoli. Tuttavia temo che le “opere necessarie” siano davvero poche. La maggior parte dei libri che vengono scritti riesce, nella migliore delle ipotesi, a divertire qualcuno o a far sentire meno solo qualcun altro. Il che, naturalmente, non è privo di valore.

C’è una scrittrice, un poeta o uno scrittore che considera il suo mentore? La prima volta che ho provato il desiderio fortissimo di scrivere è stata a quindici anni, quando un amico mise un VHS nel videoregistratore e mi disse: “Ti faccio vedere il finale di un film che, per intero, non ho mai visto…”.  Il film era Smoke: senza sapere la trama né conoscere i personaggi, vidi la conclusione in cui viene messo in scena Il racconto di Natale di Auggie Wren, di Paul Auster. Rimasi con la bocca spalancata e credo di non averla ancora richiusa! Sarebbe davvero bello riuscire a dire così tanto in modo così essenziale.

Spesso ci si lamenta che si legge troppo poco. Fra videogiochi, televisione e internet si ha sempre meno tempo per la lettura. Quale è il suo pensiero sui lettori di oggi? Sicuramente oggi si leggono sempre meno libri e ci si nutre di altre forme di intrattenimento. Tuttavia penso sia importante sottolineare che non tutte queste “altre forme” sono uguali tra loro. Trascorriamo molto tempo a leggere e a scrivere sui social network, una vera piaga che ci abitua a tempi di attenzione brevissimi e, quel che peggio, a cercare sempre l’indignazione per questioni passeggere.

Un libro ha bisogno di anni per essere scritto e di settimane per essere letto: in questo contesto è condannato a essere subito percepito come noioso perché sempre in ritardo sulle bolle che, tramite i social, si gonfiano e scoppiano tra la mattina e il pomeriggio. Però non credo che sia una buona idea trincerarsi nel ruolo di lettore tradizionale, affezionato solo all’oggetto-libro pensato come ultimo baluardo della cultura umanistica in un mondo stupido e decadente. Tra le nuove forme ci sono per esempio le serie televisive e tra di esse ve ne sono alcune molto più letterarie e umanistiche dei romanzi che mediamente vengono stampati e venduti. Penso che i lettori di romanzi dovrebbero rinunciare a un po’ del narcisismo che li fa sentire speciali perché hanno il comodino pieno di oggetti-libro e accettare che molta cultura umanistica oggi non sta sulla carta.

 Ha già pronto un nuovo libro? Sì, sto scrivendo una storia, ispirata al realismo magico, che si svolge nei primi anni della Repubblica italiana.

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