“Clonmacnoise” una storia di umani, lo spettacolo in scena al Teatro Belli di Roma

“Clonmacnoise” una storia di umani, lo spettacolo in scena al Teatro Belli di Roma. Testi di Alessandro Baricco con Simone Ciampi, Federica Fruscella e Nicolas Pandolfi per la regia di Guglielmo Guidi

best live

presenta

CLONMACNOISE”

una storia di umani

TESTI

di

ALESSANDRO BARICCO 

con

Simone Ciampi

Federica Fruscella

Nicolas Pandolfi 

regia di Guglielmo Guidi 

Aiuto regia: Floriana Garofalo – Assistente alla regia: Imma Daggiano

Sound designer: Roberto Rabbito – Light designer: Roberto Liguori

Amministratore: Giancarlo Mastroianni 

note di regia

Al di là dell’esito scenico, di quella che ancora oggi viene definita in Italia “la nuova ricerca”, i risultati acquisiti da essa hanno creato come una “gabbia” dalla quale sembra difficile uscire. Di fatto sono spettacoli del secolo scorso. Ogni spettacolo, senza in alcun modo entrare nel merito, è un concentrato di quella che fu la ricerca degli anni settanta. Frammenti che si alternano al testo. Lamenti sostenuti dalla musica, in cui si inseriscono le eterne citazioni colte: da De Berardinis a Wilson, passando per Grotowski e Kantor; da Artaud a Pasolini, da Euripide a Seneca, dove non manca mai lo strato shakespeariano e via dicendo. L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Il tutto condito da giochi di luce che, nel tentativo di sostituire la struttura drammaturgica con l’effetto cinematografico, vanno alla ricerca “disperata” di una nuova scrittura scenica.

Elementi che ritornano di quella che è stata “l’avanguardia” italiana del secolo che ci siamo lasciati alle spalle: il ‘900. La ricerca ha trovato quello che doveva trovare. Bisogna prendere atto che quella che è stata la “sperimentazione” di quegli anni ha fatto il suo tempo. È al capolinea. Quei giganti del passato, vagano ancora oggi sul palcoscenico inchiodando il teatro. 

sinossi

Il mito”

Attraverso il mito gli umani generano il mondo, come ci insegna l’Iliade. 

Clonmacnoise

Cluain Mhic Nóis in gaelicoirlandese, è la cornice mitica, leggendaria, della storia che ci accingiamo a narrare. 

gheimifichescion”

C’è stato un momento in cui, tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90 del secolo scorso, la civiltà che conosciamo è morta per sempre. C’è stata una rivoluzione tecnologica che ha generato una rivoluzione mentale. Cervelli che hanno cominciato a muoversi in maniera diversa. Questi cervelli hanno costruito dei device che erano quelli giusti per loro, ma non giusti per l’uomo novecentesco.

La beat-generation

Erano tecnicamente e umanamente dentro un habitat ben preciso che è quello degli hippie, dei beat; loro hanno costruito gli strumenti, i device, che serviranno a quelli che verranno dopo per inventare il mondo nuovo. Erano persone intorno ai vent’anni, venticinque, con qualche vecchio di trenta, che volevano cambiare il mondo, che non erano più novecenteschi, che erano alternativi in tutto e per tutto; che facevano le marce contro la guerra del vietnam ed erano politicizzati, che pensavano che il modello alternativo con cui si sarebbe potuto cambiare il mondo era: vivere nelle comuni, nei furgoni volkswagen; fare l’amore libero , la proprietà comune, farsi da sé tutte le proprie cose, completamente indipendenti, rifiutare il primato del denaro. Tra loro, però, c’erano anche degli ingegneri informatici, cioè di una disciplina appena nata, che in tutto e per tutto erano come loro: capelli lunghi, si lavavano poco, stravaccati sul divano, disordinati, alimentazione da cesso e che in questi primi laboratori stavano cercando di capire come potevano cambiare il mondo.

Lo spettacolo si muove come un “thriller archeologico”. 

la fuga dal ‘900”

Di solito si indica nel XX secolo, il secolo della grande intelligenza, di una certa civiltà; per questo se ne coltiva una grande nostalgia, proprio per i suoi gesti, per una certa passione per il bello, per i pensieri, per la complessità, per la profondità. Questo, però, ci impedisce di guardare il ‘900 per come bisogna guardarlo: il secolo più atroce della storia degli umani. Di fatto, il ‘900, una civiltà raffinatissima, produsse: due guerre mondiali, che poi era una, senza sapere perché e contro ogni insegnamento che loro avevano, di tipo: militare, politico ed economico. La sofferenza collettiva fu immane. All’interno di questa lunga, gigantesca, guerra mondiale, iniziata il 1914 e finita il 1945, che stravolse tutto il mondo, sono riusciti ad infilarci: campi di sterminio, shoà e fare una cosa che bisogna avere la lucidità di capire: hanno deciso di investire dei soldi e delle intelligenze per inventare un’arma che fosse in grado di distruggere l’intero pianeta. Dopo averla fatta, l’hanno usata. E siccome non bastava, si sono divertiti con una guerra fredda e una cortina di ferro che ha diviso il mondo in due ideologie.

Ora, non è che tre generazioni vivono cose del genere e la quarta non si ribella”.

La prima generazione è andata in trincea, la seconda si è fatta il nazismo e la terza si è divertita con la guerra fredda, mentre si viveva nell’angoscia di una guerra nucleare. Non si può pensare che la quarta se ne sta ad aspettare il peggio. La quarta ha un solo istinto: “io faccio qualsiasi cosa, ma quella roba lì, no”. Di padre in figlio si sono passati un tratto chiarissimo e tipico del ‘900: l’immobilismo, e cioè che il confine fosse sacro; il ‘900 era una civiltà organizzata su confini, su blocchi, su cose che non potevi superare; era questa immobilità qui, che ti spiega come mai abbiamo fatto la bomba atomica senza che nessuno lo sapesse; abbiamo fatto Auschwitz senza che nessuno lo sapesse. Perché? Perché se blindi le informazioni, il sapere, le élite, blindi tutto. E se passi il tempo a costruire pareti che non puoi aprire, ottieni questi risultati. E allora metti tutto in movimento, fai tutto campo aperto, non chiudere mai nulla, la chiusura porta alla morte. Apri. E così abbiamo rotto dei privilegi che sono stati fissi per decenni, ma ci siamo illusi che fosse facile vivere in una situazione di umanità aumentata, di individualismo molto diffuso, individualismo di massa. Per moltissimi un campo aperto fa paura. Ci sono grossi pezzi di umanità che non sono a proprio agio in questo tipo di mondo e quindi reagiscono. D’altra parte le élite, non stiamo parlando di gente ricca, intelligente, le élite sono quelle capaci di vivere nel “game” con assoluta scioltezza; gente di sedici anni, diciott’anni, ventun’anni, èlite “del futuro”, ma che lavorano “in questo momento”; usando il game con tutte le potenzialità che lui dà. Questi qui non si fermano ad aspettare, idea che aveva in sé il ‘900.

Dal mondo all’oltremondo”

Dalle sue origini il game è nato con una strategia di guerriglia, geniale, di cui noi oggi paghiamo alcuni difetti. La strategia era questa: cambiamo il mondo cambiando il telefono, cambiamo il mondo facendo il web, cambiamo il mondo mettendo un computer sulla scrivania di ogni umano, cambiamo il mondo inventando google, ma la scuola? il potere? Quindi adesso ci ritroviamo con queste grandi cattedrali, di cui non ci siamo occupati per un bel po’ e che sono completamente novecentesche. A scuola s’insegna ad essere dei cittadini di una democrazia occidentale anni ‘90, ma non c’è nulla nella scuola che prepari al futuro. Noi possiamo anche teorizzare un mondo in cui le informazioni corrono, ma se il tuo governo è ancora novecentesco e ha ancora tutti i passaggi, tutte le élite, tutti i funzionari, tutta la burocrazia, là, è tutto fermo, uguale. Quindi siamo bloccati. E poi, tutti maschi! Incredibile. Non c’è una donna fra gli inventori del game. Tutti uomini. Non c’è intelligenza femminile. Questa nuova idea di mondo è stata fatta da maschi, ingegneri, scienziati, manca qualcosa. Queste ferite ci sono e non le curerà nessuno che sia nato prima di google. Non c’è possibilità. La possono risolvere soltanto i più giovani. Perché o sei cresciuto con la testa del game o per quanto ti ci applichi non ce la farai mai. Ci vuole la disinvoltura di un sedicenne per passare dal mondo all’oltremondo. 

Photo By Francesca Cutropia e Paolo Roberto Santo

Teatro Belli

Piazza di Sant’Apollonia, 11 Roma

Fino al 15 maggio 2022

Orari: martedì-sabato ore 21.00 – domenica ore 17.30

botteghino@teatrobelli.it – 065894875

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