Anche quando una storia finisce, ci sono sentimenti che restano. Unico lo racconta con delicatezza, lasciando che la voce si intrecci al suono di una chitarra classica piena di nostalgia. L’elettrica entra in punta di piedi, come un conforto che sorprende.
Il singolo “Scusa se ti voglio amare” è il racconto di chi sceglie sé stesso, ma non smette di amare. Un amore che cambia forma, ma non si spegne.
La scelta di fondere la chitarra classica con l’elettrica è molto suggestiva. Come hai lavorato agli arrangiamenti del brano?
Cerco di essere coerente con la mia unicità. Tutto può essere il contrario di tutto. In fondo non esiste alcuna regola in musica se non quella dello studio tecnico. Lo stile, invece, è una cosa più personale. Ho mantenuto degli strumenti che rappresentano le mie personalità: dolce, riflessiva, come la chitarra classica e anche diretta e cruda come la chitarra elettrica.
Agli arrangiamenti cercavo di “far parlare” ogni strumento a sua interpretazione. Un po’ come quando due persone hanno qualcosa da dire e si contrastano tra di loro, chitarra classica ed elettrica si sono ritrovate per raccontare il brano con il loro punto di vista.
Le percepisco come se fossero due voci diverse. La chitarra classica è come se parlasse di continuo mentre quella elettrica grida ad alta voce per farsi sentire. Poche parole ma impattanti.
La batteria ha un ruolo quasi terapeutico nella canzone, come se “rimettesse ordine”. Quanto conta il ritmo nel tuo modo di scrivere?
Il ritmo, come la melodia, l’armonia, il tempo di un brano hanno quasi la stessa importanza, anche se non nascondo di essere più curatore della melodia e dell’armonia. Il resto degli elementi nascono un po’ per caso. Nel momento della veste di un brano, preferisco improvvisare in base ai suoni che mi vengono proposti in base all’immagine sonora che descrivo di voler trasmettere. Ogni singolo strumento, suono ha una sua anima e di conseguenza una sua singola interpretazione che noi artisti dobbiamo saper decifrare a modo nostro unendo il gusto con l’idea del potenziale degli strumenti che abbiamo a disposizione.
L’ordine è ciò che ama la mente umana e inserire del disordine in un brano è fondamentale, perché senza porre delle domande (sia a livello strumentale che testuale), probabilmente non ci sarebbero delle risposte e quindi delle soluzioni che sono pilastro principale del significato di canzone.
Il tuo processo di scrittura sembra quasi automatico, come un flusso. Come ti rapporti poi con la fase di revisione o produzione?
Risulta automatico perché ho lasciato spazio all’immaginazione e a ciò che mi sento di esprimere. Nella fase di revisione di un brano, sono molto attento ai dettagli di come ogni singola parola e ogni singolo suono in modo che possano risultare in armonia con lo spirito del brano e del racconto. Per me ogni brano deve avere un flusso continuo, perché è un racconto diretto, uno sfogo; e uno sfogo non ha molte pause, che al contrario portano ad una riflessione più profonda. In questo caso è una richiesta di nuovi stimoli del mondo esterno.
Il mio obiettivo finale è sempre quello di far emergere gli strumenti per accentuare i concetti del cantato e quindi rendere più viva l’immaginazione e calcare il proprio bisogno di vivere nuove esperienze.
Hai collaborato con produttori molto diversi tra loro. In questo singolo, cosa hai cercato in termini di sound e atmosfera?
In questo singolo ho cercato di far venire a galla uno spazio musicale che potesse risultare familiare in termini spaziali. Mi piace l’idea di inserire dei riverberi, effetti eco e anche delle armonie, perché è un modo per poter abbandonare la mente da ciò che ci circonda e vagare sopra il tetto del mondo sopra lo spazio. Credo sia il luogo più sicuro per sentire meglio la nostra voce interiore. Il riverbero distorce il tempo dei nostri suoni e se ci pensiamo è davvero meraviglioso, perché non abbandona quelle frequenze che ci fanno emozionare; parola dopo parola.
Usi spesso elementi sonori “non convenzionali”, come il suono di Nettuno. È qualcosa che continuerà a far parte del tuo stile?
Ultimamente sto apprezzando il fatto di poter inserire suoni “non convenzionali”, perché risultano riconoscibili a livello di identità del brano e del mio modello di unicità. Non escludo che nei prossimi progetti ci sarà la presenza di elementi sonori originali.
Ogni brano è a sé. Il vestito non lo scelgo io, ma è il racconto a sceglierlo. Il mio stile è proprio quello di improvvisare e rimanere in costante evoluzione: brano per brano.
Ci sono brani “piano e voce”, brani “a cappella”, e brani come “scusa se ti voglio amare” pieni di sfumature e di strumenti contrastanti fra di loro.
Il bello di questa linea di stile che seguo è quella di poter reinventare di continuo e far parlare in maniere differenti le nostre identità.