“Stranger”, il nuovo singolo della band Fik y las Flores Molestas, rappresenta una svolta significativa nel sound dello studio di Federico Ficarra, grazie alla collaborazione con il talentuoso produttore musicista Luca Jacoboni, noto anche come Fosco17. Questa volta, Fik si avventura nel genere rap, esplorando contenuti espliciti e autobiografici con grande efficacia.
Il tocco distintivo della chitarra Stratocaster suonata da Federico è in stile funky, mentre il sound complessivo conserva un’anima rock. La canzone è concepita per essere goduta in pochi minuti, perfetta per essere ballata e lasciare un’impressione duratura. La decisione di dedicare meno spazio all’improvvisazione strumentale, rispetto al precedente album “Pissin’around”, è un cambiamento interessante, anche se l’elemento dell’improvvisazione rimane comunque cruciale.
Fosco17, con il suo basso suonato attraverso un campionatore Roland SP-404MKII e il leggendario basso violino Hofner, regala al brano vibrazioni uniche e un timbro particolare. Il groove, ideato da Luca Jacoboni, è registrato con maestria dal suo batterista di fiducia, Luca Rizzoli.
Le parole secche e veloci di Fik, eseguite con pochi respiri appositamente calibrati, evocano l’atmosfera di una notte profonda. Rappresentano il suono e le immagini di un animo tormentato che trova conforto nella musica, nella danza e nella socialità.
In definitiva, “Stranger” si distingue come un brano che unisce abilmente il rap, il funk e il rock, presentando un mix coinvolgente di sonorità.
Come hai fatto il tuo ingresso nel mondo della musica? Qual è stata la tua prima esperienza significativa?
Ho fatto il mio ingresso nella musica esibendomi con la chitarra classica per amici, parenti, e alla scuola media Zanella di Padova, il mio brano preferito era Tico-Tico no Fubá. Quando ho sentito gli arrangiamenti e gli assolo di John Frusciante in Scar Tissue sono passato alla chitarra elettrica e all’acustica. Erano gli anni del liceo e non ho fatto delle vere e proprie esibizioni, c’era più che altro il desiderio di trovarsi tra amici, mangiare assieme, suonare tra di noi senza un “pubblico” ed un palco; componevo molto. Il mio ingresso nella musica come professionista l’ho fatto nel 2010 quando mi sono trasferito a Berlino, lì per un periodo sono riuscito a suonare praticamente dove volevo e con chi volevo: mi riferisco alla scena blues rock jazz, nei club e night club come il Kit Kat Klub. Già dal 2005 lavoravo come musicista in Italia, ma non lo facevo a tempo pieno.
C’è stato un momento specifico in cui hai sentito che la musica era la tua strada, una sorta di svolta nella tua carriera ?
Ci sono stati due momenti in particolare. La prima volta è stato a Castellammare del Golfo vicino a Palermo, mi trovavo lì in vacanza con amici e siamo andati al concerto di un cantante: ad un certo punto invita suo fratello a suonare la chitarra elettrica su Sweet Home Chicago. Durante il solo di chitarra ricordo che sono praticamente scivolato dalla sedia sotto il tavolo in preda ad una crisi di gioia, non avevo mai sentito nulla di simile dal vivo. La seconda volta mi trovavo a Barcellona, rimasi totalmente rapito dal busker artista di strada Felix Sunny Boy che suonava e cantava blues col banjo e con lo slide. Sempre durante quello stesso viaggio a Barcellona scoprii il cantante chitarrista bluesman Chino Swingslide, ascoltare lui fu una vera folgorazione.
Hai affrontato sfide durante il tuo percorso musicale? Come le hai superate e quali insegnamenti hai tratto da queste esperienze?
Ne ho affrontate due in particolare a parte quelle che la maggior parte degli artisti vive, specialmente qui in Italia: cachet da fame, lavoro in nero ed una quantità di lavoro – a parte la composizione, i concerti, le prove e lo studio – considerevole. Le difficoltà più serie sono state e in parte sono tuttora quelle di cui parlo in Stranger: i problemi di salute che ho avuto e, in maniera correlata, la diffamazione, l’essere indesiderato.
La depressione spegneva la mia creatività, la mia capacità di provare piacere nell’ascoltare o produrre musica, comprometteva anche la mia capacità esecutiva. Esibirmi in pubblico mi costava una fatica enorme, specialmente come solista quando cantavo e dunque intrattenevo. Da questa esperienza ho imparato a tenere il palco.
La diffamazione che c’è stata e il boicottaggio che anche oggi un pò permane sono dovuti a molteplici fattori che non sto a provare ad analizzare, molto probabilmente non sarei stato emarginato se non ci fosse stata una totale incomprensione e stigmatizzazione dei problemi di salute, e se non ci fossero stati i problemi di salute stessi ovviamente. Da questa esperienza ho imparato che bisogna credere solo in sé stessi, rialzarsi ogni volta e andare avanti.
Nel corso degli anni, hai visto evolversi il tuo stile musicale e artistico. Puoi condividere con noi alcuni dei cambiamenti chiave e delle influenze che li hanno guidati?
Ho iniziato con la chitarra classica suonando e ascoltando musica classica e spagnola, sudamericana. Sono passato all’elettrica innamorandomi dello strumento in primis e poi del rock, del blues, del pop, del funky, del rock psichedelico, delle scale veloci del metal (poi abbandonate), dello swing. Dopo aver visto il film The Blues Brothers ho iniziato ad ascoltare e ricercare delta blues, blues urbano, funky, soul, rock’n’roll, rhythm’n’blues, rock, hard rock… Guardando il film Sweet and Lowndown mi sono innamorato del jazz popolare: gypsy jazz, swing jazz, ragtime…lì é iniziata la mia ricerca e lo studio nell’ambito del jazz popolare. L’ultimo cambiamento, una conseguenza del jazz, è il rap, e lo starmi avvicinando alla musica dance ed elettronica. Il rap lo ascolto spesso e con attenzione relativamente da poco, dal 2020.
Per chi sta iniziando una carriera artistica, quali consigli fondamentali offriresti, basati sulle tue esperienze personali?
Leggere Psicologia della musica di Schoen, Kabiri e Vecchi, parla anche di neuroscienza. Suonare per strada é un modo eccezionale per promuoversi, per conoscere gente, far nascere collaborazioni o trovare concerti. Inoltre è scuola perché la gente spesso ti passa davanti incurante. Studiare, da soli ma anche in compagnia. Non sempre, possono esserci periodi in cui si suona e ascolta e basta. Imparare andando alle jam, suonando sopra i dischi, improvvisando col metronomo senza nessuna base. Trascrivere o anche solo trovare ad orecchio accordi e melodie. Cercare di ampliare i propri gusti e modalità di espressione, uso della voce o altri strumenti come le percussioni, linguaggio corporeo, la danza. Tenere il gain dello strumento al massimo (senza introdurre rumore di fondo) e imparare a modulare il volume col tocco: dal pianissimo al fortissimo come nella musica classica.
“Stranger” trasmette un messaggio o un’emozione specifica? Qual è il significato che speravi di catturare attraverso questo singolo?
Credo che il messaggio di fondo sia questo: guardatemi, sto sempre meglio da quando sono stato operato, da quando dormo, respiro, riposo e mi nutro normalmente, e sono sempre la stessa persona. Quando soffrivo di problemi di salute e mi trovavo nella libertinissima Berlino emerse una parte di me che poi è perdurata negli anni anche dopo l’intervento, anzi si sta consolidando ancora di più. L’atto di indossare la parrucca è, oltre ad un semplice gusto personale, una dichiarazione di intenti, rappresenta me stesso nudo, senza censure…non la conseguenza di una malattia come troppi hanno purtroppo detto e pensato.
Guardando al futuro, hai intenzione di esplorare nuovi generi musicali nei tuoi prossimi progetti?
Sì, desidero dedicarmi nuovamente al jazz in un periodo di maggiore serenità, vorrei sperimentare musica dance ed elettronica e mi piacerebbe tanto anche attingere dalla musica dei Balcani dove, come a New Orleans, è usanza fare parate musicali con tantissimi strumenti a fiato. Vorrei comporre musica a prescindere dai generi musicali cercando di avere il groove come filo conduttore.