Recensione di Family Therapy: un moderno teatro dell’assurdo

Il cinema d’autore si fa realtà con Family Therapy: la pellicola di Sonja Prosenc dallo sguardo introspettivo in un mondo fatto di finzioni ed egocentrismo. Girato quasi totalmente in Friuli Venezia Giulia, ha ottenuto il sostegno da parte del Fondo Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia e della Friuli Venezia Giulia Film Commission PromoTurismoFVG; sempre in Italia, il film è stato supportato anche dal MiC, per una produzione di Monoo (Slovenia), in coproduzione con Incipit Film (Italia), Incitus Film (Norvegia), Living Pictures (Serbia) e Wolfgang&Dolly (Croazia).

“Sei più alto di quanti pensassi.”
“E tu più basso.”

La famiglia Kralj vive lontano da tutto e da tutti. Chiusi in una villa di vetro con i blocchi alle porte, appaiono composti, maniacali, paranoici. Gelidi manichini meccanici che seguono una routine dalla quale non riescono ad uscire. Tutto deve essere in ordine, niente fuori posto, soprattutto le parole. Uno schema chiuso, angusto, che non accetta sconosciuti. Troppo premurosi di proteggersi da influenze esterne, come se il pericolo fosse dietro l’angolo in agguato.
Tutto appare cupo, intrigato. Il capofamiglia, Alexander, dà l’impressione di essere un soggetto delirante, come se vivesse una realtà tutta sua, senza riuscire a guardarsi realmente attorno. La moglie, Olivia, con il suo silenzio sembra una bomba ad orologeria: un minimo movimento, e potrebbe scoppiare a causa della sua collera.
Vittime di sé stessi e del controllo, la figlia Agata risulta la vera preda delle pressioni familiari: chiusa, oppressa, sola, mai ascoltata. Fino all’arrivo di Julien, una ventata d’aria fresca. Scombussola i ritmi familiari grazie alla sua diversità, come un diluvio improvviso che si scaglia su una impettita festa all’aperto, con il suo fascino da bravo ragazzo e la libertà di un giovane uomo.

“Sto cercando di riposarmi, ok?”
“E da cosa?”

Sonja Prosenc descrive l’incoerenza di soggetti esasperati dalle loro coscienze. Silenzi pesanti, dialoghi ridotti all’osso congeniali a creare litigi o ad esprimere asprezze. Un mondo continuamente distopico dove attuare immagini atipiche e comportamenti sempre in contrasto tra loro. Calma e rabbia si alternano talmente velocemente da non distinguerne i confini e svelare la verità su di sé. Un sonno tormentato, dove si resta indecisi se sia uno strano sogno o un terribile incubo. In ogni momento, tutto ciò che accade passa in secondo piano, tranne l’io. L’egocentrismo dei personaggi li rende bramosi di attenzioni, alla ricerca costante di essere appagati.Ma guai ad ammettere apertamente ciò che si vuole: si nascondono, perché il desiderio va tenuto segreto.

“Un viaggio perfetto per una famiglia perfetta”

Si creano così dei meccanismi viziosi al quale aggrapparsi per rincorrere i propri sogni, rigettando di aprire gli occhi per guardare ad un palmo al naso. Basta poi una crepa, anche sottile, per distruggere tutto in mille irrecuperabili pezzi. Solo a quel punto ci si accorge che si può uscire dalla gabbia, nonostante l’ego si aggrappi alle viscere. Le illusioni nel quale gettarsi si dissolvono a causa di un disperato delirio. Alla fine ci si sente come un animale selvatico: liberi.

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