Pier Paolo Conti: dentro le pagine di “Delos Adelos”

Incontriamo da vicino Pier Paolo Conti, autore di “Delos Adelos”, un saggio che si pone al crocevia tra filosofia e matematica, tra pensiero simbolico e tensione esistenziale. Frutto di trent’anni di riflessioni e ricerca, il libro nasce come risposta a un interrogativo fondamentale: qual è il rapporto tra la certezza apparente della scienza e l’incertezza profonda della realtà? Dall’incontro tra modelli ingegneristici e pensiero filosofico, fino alla scoperta quasi poetica di un principio di propagazione dell’incertezza. Cerchiamo di addentrarci senza perdere di vista il tessuto quotidiano di ognuno di noi…

Nel tuo libro parli di “Delos” e “Adelos” come simboli di certezza e incertezza: cosa ti ha spinto a vederli non come contrari, ma come principi complementari della conoscenza umana?
Nella mia esperienza scientifica ho spesso osservato come la realtà che ci circonda si presenti sotto una forma duale. Prendiamo, ad esempio, un albero: da un lato, percepiamo chiaramente una struttura riconoscibile e ordinata, con un fusto, dei rami, foglie e radici; questa è la parte che possiamo sistematizzare e descrivere attraverso simboli, cioè la parte Delos. Potremmo persino definirla come la sua componente di bellezza matematica.
Dall’altro lato, però, c’è un aspetto dell’albero che sfugge a ogni classificazione rigida: l’imprevedibilità della forma e della posizione dei rami, la densità irregolare del fogliame, la direzione mutevole delle radici, elementi che appartengono all’Adelos, ciò che non è immediatamente afferrabile né pienamente sistematizzabile.
Questa coesistenza tra una struttura ideale, quasi iperuranica, e una componente sfuggente e irripetibile, è ciò che rende l’albero reale. È proprio grazie all’intelletto, alla capacità simbolica del ragionamento, che possiamo afferrare anche ciò che sfugge, e trasformarlo in conoscenza, senza però cancellarne l’incertezza.
Delos e Adelos, quindi, non sono contrari da tenere separati, ma forze complementari che cooperano nella nostra comprensione del mondo. Trattarli entrambi, senza ridurre l’uno all’altro, è ciò che permette una conoscenza più ricca e dinamica.

Il concetto di “numero empirico” e la propagazione dell’incertezza introducono una nuova visione. In che modo la matematica, spesso considerata il regno della certezza, può diventare un linguaggio per l’incertezza?
La risposta sta in un vero e proprio cambio di paradigma, una rivoluzione di prospettiva. La matematica, tradizionalmente considerata il regno della certezza e della perfezione, può, e forse deve, farsi carico anche dell’incertezza. Il mondo perfetto, ordinato e bello appartiene al nostro pensiero, non alla realtà concreta che ci circonda. E questa distanza ha spesso generato angoscia, perché ciò che non si domina razionalmente appare estraneo, minaccioso.
Tuttavia, la tensione tra la nostra interiorità e il bisogno di comunicare oggettivamente con altri esseri pensanti impone di ripensare il modo in cui trattiamo le entità misurabili. È qui che entra in gioco il numero empirico, che accoglie questa doppia natura: una parte certa, simbolica, e una parte incerta, variabile, ma comunque affrontabile. In questo contesto, emerge la figura del Metrologo, che esercita l’arte di tenere in considerazione sia il Delos che l’Adelos, riconoscendo che la realtà non può essere ridotta solo alla certezza, ma deve anche abbracciare la dimensione dell’incertezza. Così, la matematica si apre a un linguaggio più aderente alla realtà, una realtà che non è mai completamente fissa, ma sempre in divenire.

Hai vissuto una trasformazione personale, da ingegnere razionale a pensatore filosofico che abbraccia l’incertezza. Scusa il gioco di parole ma ha senso pensare che soltanto ora stai raggiungendo un alto grado di certezza?
No, non credo che solo ora stia raggiungendo un alto grado di certezza. Continuano a convivere in me entrambe le visioni: quella dell’ingegnere, che cerca di ridurre l’incertezza al minimo possibile, e quella del filosofo, che si interroga sul senso e sul fine delle cose. Il mio percorso personale mi ha condotto in una terra dove la domanda su cos’è la verità perde di significato, poiché non esiste una verità assoluta, ma solo verosimiglianze che ci avvicinano progressivamente alla comprensione.
Questa consapevolezza si riflette anche nella crisi attuale della fisica fondamentale e della cosmologia, dove ci troviamo davanti a limiti che gli strumenti matematici attuali, spesso costruiti intorno al criterio estetico della “bellezza”, non riescono più a superare. Come un viandante, dico che non siamo giunti alla fine del cammino: si tratta piuttosto di fermarsi, guardarsi intorno e rivedere gli strumenti stessi con cui ci muoviamo, per poter continuare il nostro viaggio verso la comprensione.

Nel testo emerge l’idea che l’incertezza non sia un errore ma una possibilità. Quanto è difficile, in una società ossessionata dal controllo, accettare che l’incompleto possa avere valore in sé?
Sì, l’Adelos può essere interpretato, da un lato, come errore o deviazione rispetto a un ideale di perfezione; ma, dall’altro, rappresenta una potenzialità non ancora espressa, un’apertura verso ciò che non è ancora stato compreso. Nella società contemporanea, così ossessionata dal controllo e dalla previsione, accettare l’incompleto come qualcosa di prezioso è una sfida culturale profonda.
Tuttavia, credo che l’uomo moderno non possa più esimersi dal considerare l’Adelos come parte integrante del percorso conoscitivo. Per fare un esempio concreto e attuale, anche le reti neurali, che oggi costituiscono il cuore dell’intelligenza artificiale, funzionano e si adattano proprio grazie all’incertezza e alla variabilità, l’Adelos, appunto. L’incertezza non è più un’anomalia da eliminare, ma una condizione da gestire consapevolmente.
Il nostro desiderio di controllo, figlio del dono di Prometeo, è connaturato all’essere umano. Ma, immersi nel mondo della Tecnica, dobbiamo imparare a bilanciare la nostra vista: a non smarrirci nei dettagli offuscati dalla miopia, né nel paesaggio sfocato della presbiopia. Solo così potremo abitare davvero il paesaggio complesso della conoscenza.

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