Tra le luci dorate di Los Angeles e le ombre profonde di strade dimenticate, si cela la storia di una ragazza che sognava di salvare vite e ha finito per salvare sé stessa. Jane, con il suo cuore fragile e ostinato, è partita per rincorrere un futuro da medico, senza sapere che il vero intervento d’urgenza sarebbe stato quello sulla propria anima. Le sue mani, nate per curare, hanno sfiorato il volante come una seconda pelle, trovando nell’asfalto bollente un rifugio contro il peso delle sue insicurezze.
Parliamo con Martina Fumagalli per questo che sembra essere un viaggio nei suoi ricordi: “Vita diversa” è un romanzo intriso di corse clandestine che somigliano a battiti di cuore fuori tempo, di notti avvolte da promesse e tradimenti, di un amore che sa di abisso e di redenzione. Un amore chiamato Nathan. Come dice il fronte di copertina: “L’amore può essere una salvezza ma può anche distruggere”.
Jane è divisa tra il desiderio di affermarsi come medico e il richiamo adrenalinico del mondo delle corse clandestine. Che poi sembra una scena di vita vissuta: i sogni o il dovere? Vero?
Ciao, si in un certo senso è così, Jane è sempre vissuta in una bolla che hanno costruito i suoi genitori e quindi per la prima volta inizia a prendersi le sue responsabilità e quindi ad affrontare il mondo con le proprie forze, quindi senza contare sulla propria famiglia quindi a prendere le proprie responsabilità.
Che poi significa anche un altro dualismo: il controllo o l’istinto. Dico bene?
Sì, lei si è sempre ritenuta una donna che ha tutto sotto controllo in un certo senso, ma purtroppo è proprio quando parte per Los Angeles, comprende che il controllo alcune volte non funziona e quindi inizia ad agire d’istinto, cosa che alcune volte non porta a strade ottime.
Nathan è un personaggio magnetico ma pericoloso. Cosa rappresenta davvero per Jane: una fuga, una sfida, o uno specchio che riflette le sue insicurezze più profonde?
Nathan, inizialmente per Jane rappresentava una sfida inizialmente, con il suo carattere un po’ difficile da decifrare, poi con il passare del tempo una sorta di fuga dalla sua realtà dato che si è affacciata al suo mondo, ma soltanto alla fine si è rivelata anche in un certo senso la riflessione delle proprie paure profonde proprio come se fosse uno specchio.
Io penso sempre che anche i luoghi siano un centro di ispirazione e di scrittura. In che modo la città di Los Angeles diventa simbolo di questo dualismo tra luce e oscurità?
Sì sa una città, soprattutto grande come Los Angeles, come in tutte le città a mio parere ci sono sia luce che oscurità, come in ogni persona c’è un lato di luce e di oscurità, sta a noi a scegliere a che lato affidarci maggiormente.
E ci sono tracce dei tuoi luoghi in tutto questo?
In realtà, non tutti, alcuni sono stati inventati ci tengo a precisare, ma alcuni sono stati veri e significativi per me.