É uscito giovedì 18 aprile 2024 su tutte le piattaforme digitali per Nusica, il nuovo album della nuova formazione Marco Cesarini & Henry Mclusky dal titolo “Chi è Antelope Cobbler?“. Questo sarà il primo di due nuovi album che usciranno durante il 2024, il disco è stato mixato e masterizzato da Marc Urselli, fonico storico che vive e lavora a New York (East Side Sound Studios).
“Chi è Antelope Cobbler?” è un disco dalle atmosfere à la David Lynch, artista che è stato una forte influenza e presenza determinante sulla decisione di scrivere questo disco. Tutto è iniziato con un rewatch della serie Twin Peaks, quando Marco Cesarini è arrivato a chiedersi “Qual è la mia definizione di musica noir?” o anche “Come racconterei una storia noir, con la musica?“. Nella musica non c’è un vero e proprio genere Noir, però c’è tanto materiale che ne sperimenta le suggestioni, questo disco forse nasce per l’esigenza di avere dei canoni, una piccola definizione di cosa potrebbe essere un disco noir.
Noi l’abbiamo intervistato riguardo ciò che sta combinando, la musica oggi e che cosa sta cambiando.
Ti abbiamo visto più volte anche impegnato nell’ambito delle colonne sonore? In che modo lavori a queste musiche, rispetto invece a quando lavori alle tue, da solista?
Non c’è molta differenza nel metodo, l’unica cosa che cambia è la finalità, ovviamente sono due cose molto diverse, nel senso che da una parte hai le immagini o le parole a cui devi prestare servizio, dall’altra invece c’è soltanto la musica che deve dire tutto, è più impegnativo, ma ormai da un pò di tempo utilizzo una sorta di narrazione simbolica per sviluppare le composizioni, come se devolsi scrivere una storia.
E scrivi anche che il secondo disco, in collaborazione con l’invisibile Henry McLusky, è già in lavorazione. I due dischi risalgono allo stesso periodo? Come mai senti l’esigenza di pubblicarli a così breve distanza?
Mi sembra la cosa migliore, per diversi motivi. Come sai oggi il mercato della musica è saturo, almeno è quello che dicono, non ho una cognizione molto limpida di questa saturazione, anche perché quello che faccio io, non credo sia così in voga, ma da quello che ho capito, non sembra molto importante la singolarità di un progetto, anzi il contrario, più sei riconducibile, più sei associabile a qualcos’altro e più hai possibilità di collocarti in un genere, in Italia almeno è così, alla luce di queste considerazioni, pubblicare un dittico a breve distanza l’uno dall’altro, potrebbe aiutare a far circolare il mio nome, farlo rimanere in pò di più nelle orecchie degli addetti ai lavori. È vero che i due dischi sono stati scritti e registrati nello stesso periodo, però il secondo è ancora aperto, non mi sto ponendo limiti, ho altre composizioni in ballo che vorrei aggiungere. Se all’inizio questa decisione era dettata da considerazioni abbastanza utilitaristiche, ora in me ha assunto anche uno stimolo per continuare un discorso legato a Henry McLusky, dargli una certa continuità e rimanere nell’abito noir mi sta dando molti stimoli, la parte creativa ha preso il sopravvento.
Come hai scelto lo strumento del basso, quando studiavi musica? E come pensi ti abbia poi influenzato negli ascolti e nel tuo modo di vivere la musica?
Sono sempre stato affascinato dai suoni gravi, mi piace molto quel registro, anche se ormai da molti anni le mie produzioni sono più stratificate sotto l’aspetto timbrico e quello dei registri, una volta invece avevo un approccio più estremista, per farti un esempio una delle mie band i Windom Earle era un trio con due bassi, poi nel tempo mi sono accorto che era abbastanza controproducente, sopratutto per l’equilibrio delle composizioni, è stato un processo lento ma inesorabile. Non credo che lo strumento mi abbia influenzato, ho studiato sempre pianoforte complementare mentre studiavo basso e chitarra, non mi sento molto un musicista nel senso stretto del termine, mi sento più un autore, un compositore, da quando sono piccolo mi sono sempre più interessato alla forma di un brano, per me tutti gli strumenti giocano una partita più ampia, lavorano uno a fianco all’altro per esprimere un’idea comune di musica. Non so dirti che ruolo abbia avuto lo strumento in senso stretto, anche perché da ormai qualche anno uso il basso solo per scrivere, suono molto di più la chitarra, anche da vivo. Non sono uno di quei musicisti/compositori che scrivono brani per il proprio strumento, se ci fai caso in questo disco i solisti e gli strumenti che “cantano” di più, sono i fiati.
Con quali altri strumenti ti senti in confidenza?
Chitarra, basso e cordofoni in generale. Suono il Saz turco e ho una piccola collezioni di strumenti a corde medio orientali, per qualche anno mi ero messo a studiare con metodo, ma quello è un mondo che ti avvolge completamente, il rischio per me era quello di scimmiottare una cultura che ha bisogno di molta attenzione, una volta presa quella strada difficile tornare indietro, non me la sono sentita, mi sento più legato al mondo occidentale – per quello che può voler dire, visto che siamo tutti una commistione di stili e di generi, viviamo nel post post moderno – , anche se adoro le musiche del mondo, da quella indiana, medio orientale, balinese e via dicendo, queste influenze, hanno giocato a volte un ruolo importante, è abbastanza udibile in alcune composizioni, sopratutto nei dischi precedenti con la Uqbar Orchestra- altra mia formazione – ho anche qualche strumento ricavato da materiali poveri, di scarto, un mio caro amico(Filippo Nappo Romagna) è un grande artista artigiano e ha realizzato nel tempo alcuni progetti che avevamo sviluppato, il rotobasso, oppure la cigar box e altre cosette molto interessanti.
E con quali mezzi si può promuovere la propria musica nel 2024?
Domandona, sinceramente non saprei come risponderti, sicuramente una parte importante dipende dalla Label e dall’agenzia di stampa, ma la responsabilità più grossa è sulle spalle del musicista.