Dietro la storia di Adele Mereu. Un’intervista all’autrice del romanzo Dinah

Con Dinah. La maledizione della Ninfa, Adele Mereu ci regala un fantasy che si insinua nei confini tra mito e realtà, trasformando il destino in un enigma da decifrare. Attraverso la storia di Amelia, giovane donna perseguitata da una maledizione amorosa, e quella della ninfa Dinah, condannata dagli dèi a non essere mai amata, il romanzo esplora il legame tra passato e presente, tra libero arbitrio e ciclicità del tempo.

Con una scrittura evocativa e ambientazioni avvolgenti, Dinah non è solo una storia di reincarnazione e magia sottile, ma un viaggio nell’identità e nelle ombre dell’anima. Oggi abbiamo il piacere di intervistare Adele Mereu per scoprire i segreti dietro la creazione di questo affascinante universo narrativo.

“Dinah. La maledizione della Ninfa” è un romanzo che mescola mito e realtà, creando un’atmosfera sospesa tra passato e presente. Qual è stata l’ispirazione principale per questa storia? C’è un evento, una leggenda o un luogo reale che ha acceso la scintilla creativa?

Ho preso ispirazione principalmente dalla mia vita sentimentale, in passato mi era capitato di vivere situazioni simili a quelle di Amelia, per cui un giorno un po’ per ridere ho detto alle mie amiche “devo proprio essere maledetta”. Inoltre, ho sempre creduto nella reincarnazione, se fossi stata maledetta davvero sarebbe per forza dovuto essere accaduto in un’altra vita, perché in questa non mi sembrava possibile. Non c’è un evento preciso che ha acceso la scintilla, ma direi più una serie di situazioni.

La Sardegna e il suo paesaggio sembrano avere un ruolo cruciale nella narrazione. Quanto la tua terra d’origine ha influenzato l’ambientazione in Dinah? Ci sono luoghi specifici che hai voluto omaggiare o che hanno contribuito a costruire l’atmosfera onirica della storia?

Il paese di Amelia è in realtà il mio paese, ho sempre vissuto qui, non potevo non omaggiarlo. Lo stesso vale per il lago del paese di cui parlo a inizio libro, esiste davvero. È molto più piccolo rispetto a come viene rappresentato nel libro, ma esiste e si trova nella mia zona.

Nel romanzo emergono domande complesse su destino e libero arbitrio. Secondo te: crediamo di avere il controllo sulle nostre scelte o, in fondo, seguiamo un percorso già scritto? Da autrice, hai trovato più stimolante esplorare la possibilità di riscrivere il destino o l’idea di una ciclicità ineluttabile?

Penso che la verità stia nel mezzo, vorrei credere totalmente nel libero arbitrio, ma penso anche che una piccola parte della nostra vita sia già decisa dal destino. Per questo motivo ho trovato molto stimolante esplorare entrambe le cose, ma forse ho amato decisamente di più l’idea di riscrivere il destino sfidando quella che sembra essere una ciclicità ineluttabile.

L’autopubblicazione è una scelta che richiede determinazione e fiducia nel proprio lavoro. Cosa ti ha spinto a percorrere questa strada? Quali sono stati i momenti più sfidanti e quelli più gratificanti di questo percorso intrapreso con Dinah?

La storia di Dinah e Amelia sono molto personali, mi sarebbe piaciuto pubblicare con una casa editrice, ma allo stesso tempo l’autopubblicazione avrebbe reso la storia totalmente mia. Quando ci si rivolge ad una casa editrice si ricevono molti consigli utili che spesso portano giustamente a modificare un po’ la storia, ma questa non volevo proprio modificarla. Tutto il processo pre-pubblicazione è stato una sfida, ma ho avuto degli aiuti da parte dei professionisti di “Passione Scrittore”, piattaforma con cui poi ho pubblicato. I momenti più gratificanti sono stati sicuramente i feedback ricevuti successivamente da chi ha letto il libro.

La tua scrittura è molto evocativa e immersiva, con descrizioni dettagliate che rendono l’ambientazione quasi un personaggio a sé stante. Come costruisci l’atmosfera nei tuoi romanzi? Parti da immagini, da sensazioni o da una ricerca più strutturata?

Parto principalmente da sensazioni che poi cerco di convertire in immagini.

Il concetto di reincarnazione e memoria ancestrale è centrale nel romanzo. Pensi che, come esseri umani, portiamo con noi tracce di vite passate o esperienze che non possiamo spiegare razionalmente? Come hai sviluppato questo tema nella costruzione della storia?

Ho sempre creduto nella reincarnazione, perché spesso capita a tutti di sognare o immaginare luoghi che poi si dimostrano reali, di conoscere persone che ci sembra di aver già incontrato pur non avendole mai viste, sono sensazioni che non riusciamo mai a descrivere perché sembrano quasi assurde, però è così. Ho cercato di rappresentare questo anche su Dinah.

Adele Mereu, autrice di "Dinah. La maledizione della Ninfa"
Adele Mereu

Nel libro, la protagonista fatica a trovare il proprio posto nel mondo, un sentimento comune a molti lettori. Quanto c’è di autobiografico nel suo percorso di ricerca dell’identità? Ti riconosci in alcuni aspetti della sua evoluzione?

C’è molto di autobiografico. Al di là della maledizione e della vita sentimentale di Amelia, anche io come lei ho intrapreso studi diversi e ho cambiato idea diverse volte prima di trovare la mia strada. Come la protagonista anche io ho fatto un mese in fisica e in seguito ad una visita ospedaliera ho capito cosa volessi davvero fare nella vita. Anche io come lei ho sempre pensato di conoscermi poco. La frase che poi caratterizzerà Amelia “parlare di sé stessi quando ancora non ci si conosce bene a fondo è come parlare di qualcosa che hai visto solo di sfuggita” è una frase che ho sempre utilizzato per descrivere ciò che provo nei miei confronti. Anche io come Amelia, come tutti, sto ancora cercando di conoscermi e trovare il mio posto nel mondo.

Il tuo lavoro come infermiera ti mette quotidianamente a contatto con storie umane intense, fatte di dolore, speranza e rinascita. Quanto di questa esperienza professionale ha influenzato la tua scrittura e, in particolare, la costruzione emotiva dei personaggi di Dinah? Hai mai percepito una sorta di parallelismo tra il prendersi cura delle persone nella realtà e il dare vita ai tuoi protagonisti sulla pagina?

Penso che ciò che accomuna il mio lavoro come infermiera e il dare vita ai personaggi sia principalmente l’empatia. Quando si crea un personaggio con le sue caratteristiche, le sue sfumature, le sue esperienze di vita è importante immedesimarsi in lui, comprenderlo, ascoltarlo, è lo stesso che faccio ogni giorno con i pazienti, entro in empatia con loro, li ascolto.

La narrazione di Dinah è avvolta da un senso di destino ineluttabile, ma anche dalla ricerca di una via d’uscita da esso. Quando hai iniziato a scrivere questo romanzo, avevi già un’idea chiara della trama e delle sue svolte, oppure il racconto si è trasformato durante il processo creativo? Qual è stata la parte più difficile da scrivere e c’è stato un momento in cui hai sentito di dover “curare” la storia, quasi come si fa con un paziente, per darle la sua forma definitiva?

Non avevo da subito un’idea chiara sul finale. In effetti neanche sulla parte di mezzo, anche l’idea del sogno mi è venuta dopo, inizialmente avevo pensato sì ad una reincarnazione, non di una ninfa ma di cupido. La parte più difficile da scrivere è stata il finale, in realtà penso sia sempre così, perché è ciò che resterà più impresso al lettore, non deve essere forzato, non deve essere troppo brusco e deve essere coerente.

Penso più alla storia come a un figlio più che ad un paziente. Nasce tutto da un’idea che poi nel tempo cresce attraverso una prima stesura seguita poi da una serie di riadattamenti che porteranno alla versione più adulta e definitiva. Si, può essere vista anche come un paziente, perché in fondo anche la storia viene poi curata in ogni suo aspetto, però mi sento che il rapporto genitore-figlio sia ciò che più si adatta.

Se potessi trasportare  La maledizione della Ninfain un altro formato – un film, una serie TV, un’opera teatrale – quale sarebbe il mezzo ideale per raccontare questa storia visivamente? E quali elementi vorresti che fossero assolutamente rispettati in un adattamento?

Mi piacerebbe tanto convertire il libro in un film o in un’opera teatrale. Essendo una storia che inizia e finisce in un solo libro potrebbe essere meno adatta ad una serie TV, anche se non mi dispiacerebbe nemmeno una miniserie di quattro episodi al massimo.

Gli elementi che vorrei proprio vedere rispettati oltre quelli legati alla trama in sé (reincarnazione, sogno, maledizione) sarebbero sicuramente il lago con la casetta in legno, i quattro ragazzi provenienti da Paesi diversi e quindi la chat, il cugino e la sorella di Amelia perché penso siano personaggi fondamentali nella vita della protagonista. Vorrei non mancassero nemmeno l’anello di Amelia e la sua mascherina per dormire.

Infine: se potessi definire il tuo libro con tre sole parole, quali sarebbero e perché?

Viaggio: perché in fondo parla del viaggio di Amelia, il viaggio che lei intraprende alla ricerca della verità su sé stessa. Unione: perché è la parola che meglio descrive la chat delle ninfe e cavalieri reincarnati. Famiglia: la protagonista ha un bellissimo legame con la sua famiglia, ma alla fine del libro ne avrà costruito anche un’altra composta dai suoi amici più stretti.

Articolo precedente“Nel viaggio la meta”. Maria Gloria Vezzani al Salone Internazionale del Libro di Torino
Articolo successivo“Solo un sogno”, il nuovo singolo inedito di Fabio Martorana. Online il video