Camilla Bianchini e il suo “Call Back”: il dietro le quinte di una generazione in bilico

Call Back, il podcast di Camilla Bianchini prodotto da Blackcandy Produzioni, racconta con ironia e profondità la precarietà di un’attrice trentenne in cerca del ruolo della vita. Nato come monologo teatrale, poi divenuto romanzo per Bertoni Editore, il progetto si è trasformato in un’avvincente narrazione audio.

Sette episodi che offrono uno sguardo sincero sulle difficoltà del mondo dello spettacolo, tra provini, rifiuti e lavori secondari per mantenersi. Più che una storia individuale, Call Back diventa il ritratto di una generazione alle prese con sogni e incertezze.

Nell’intervista per Oltre le Colonne, Camilla Bianchini racconta la genesi del podcast e accenna a una possibile trasposizione cinematografica. La canzone perfetta per rappresentarlo? Anna e Marco di Lucio Dalla, simbolo di sogni sospesi tra realtà e speranza.

Camilla, “Call Back” è molto più di una storia su un’attrice in cerca di un ruolo. È il ritratto di una generazione. Come hai costruito questa narrazione?
Ciao, è un piacere poter parlare insieme di Call Back che in realtà inizialmente doveva essere un monologo teatrale tragicomico che raccontasse le vicende di un’attrice trentenne precaria in attesa del ruolo che l’avrebbe fatta “svoltare”, poi però i personaggi che avevo in testa e le situazioni erano talmente tante e si intrecciavano così bene che è nato spontaneamente un romanzo che è stato pubblicato da Bertoni Editore. Poi mi è venuta l’idea di dare al romanzo una voce appunto con il fictional podcast. Effettivamente ho scoperto mentre scrivevo di come la storia di Nina fosse universale e che il suo disagio e la sua precarietà non fosse relegata al semplice lavoro di attrice ma riguardasse un’intera generazione, quella dei Millennial appunto che si sente un po’persa e in difficoltà nel confronto con una società che pretende e dà per scontato che tu a trent’anni sia già realizzato.

Il podcast è diviso in sette episodi. C’è stato un episodio più difficile da interpretare?
Credo il penultimo, il sesto, in cui racconto di un personaggio, Gaetano che non ha la forza di Nina nell’affrontare gli ostacoli della vita di attore e fa una scelta dolorosa.

Nel podcast Nina è costretta a fare lavori secondari per mantenersi. Quanto è difficile per un artista conciliare la creatività con la necessità di pagare l’affitto?
È molto difficile, specie perché questo è un lavoro che il più delle volte non è costante quindi magari dei periodi lavori di più, altri meno e quindi diventa necessario per molti fare anche altro anche perché lo Stato non dà alcun tipo di aiuto nei momenti di non lavoro.

Il mondo dello spettacolo viene spesso raccontato dai riflettori in poi. In “Call Back” vediamo cosa succede prima: attese, provini, porte chiuse. Quanto è importante dare visibilità a questa parte del mestiere?
Credo sia molto importante, infatti, quando si parla del “Favoloso mondo dello Spettacolo” si pensa subito ai red carpet, al successo, ai lustrini. Invece uno dei miei obiettivi era proprio quello, attraverso il romanzo e il podcast, di dare luce a quella grande quantità di talenti che non sono ancora nomi ma che sarebbe bello potessero avere la loro occasione per essere “osservati” e conosciuti.

Il podcast ha una narrazione molto ritmata, quasi cinematografica. Hai pensato a una possibile trasposizione su altri media, magari una serie TV o un film?
Mi leggi nel pensiero? Certo che ci ho pensato. Magari un giorno tornerò qui a parlarvene!

Se potessi scegliere una canzone per rappresentare lo spirito di Call Back, quale sarebbe?
Non ho dubbi: Anna e Marco di Lucio Dalla e se ascolterete tutto il podcast scoprirete il perché!

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