Il duo di Bande rumorose in A1 formato da Matteo Bosco e Valeria Molina, arriva al primo lavoro di inediti dal titolo “Gli inquilini del sottoscala” uscito per Private Stanze. Acido, asettico, di blues e di questa voce che a volte declama e lancia invettive. Un poco fa il verso alla Rino Gaetano, un altro po’ a Vasco Brondi. Il tutto mantecato da quel sapore elettrico lo-fi, di arsure estive di quartieri americani di periferia.
Le bande rumorose proteggono dai rumori. Voi da cosa ci proteggete?
Da nulla, noi vi “buttiamo” in mezzo alle “peggio cose” e vi diciamo “guardale bene, non erano poi così brutte” o anche “sei sicuro che vada tutto bene”. Di protezioni, spesso non richieste, ne abbiamo troppe e questo ha creato delle limitazioni in termini di creatività. Le sicurezze, se mai nella vita ne abbiamo qualcuna, ce la dobbiamo costruire noi, conoscendo, imparando, inventando; non dobbiamo “indossarle” come l’armatura del crociato: la Terra Santa è la creatività e l’infedele è la “protezione”.
Per questo il suono fa “poco rumore”? Cioè per questo scegliete sempre o quasi soluzioni acustiche?
Si tratta di una soluzione congeniale, pratica, molto “vicina” al nostro modo di suonare live (io sono nato voce/chitarra e non credo che me ne staccherò mai completamente). C’è da dire, tuttavia, che in questo disco (“Gli inquilini del sottoscala”) abbiamo sperimentato diverse sonorità, uscendo dal cantautorato classico: le chitarre acustiche stanno molto “dietro”, i suoni sono molto ricercati e ogni traccia ha una precisa impronta musicale. Questa, secondo me, è una scelta che, al contrario fa “molto rumore”.
Dal vivo? Che set portate in scena?
Dal vivo noi comunichiamo molto con il pubblico, parliamo con le persone, spieghiamo il contesto in cui ogni “storia” si muove, facciamo in modo che le persone ci accompagnino durante la canzone, in fondo parliamo di cose che viviamo tutti ed è giusto che la canzone sia “per tutti” quelli presenti durante il live.
Solitamente abbiamo chitarra acustica, bassa e armonica, raramente qualche effetto. Quello che ci piace fare, quando possibile, è “allargare” momentaneamente la formazione e ospitare amici musicisti che diano il valore aggiunto alla serata.
E questa immagine di copertina? I topi sono sempre nel sottoscala… ma in fondo cosa rappresentano per davvero?
L’immagina voleva essere un omaggio alla celeberrima scena della peste nel “Nosferatu” di Herzog: gli abitanti sono consapevoli di avere la peste, di stare celebrando l’ultimo banchetto e allora lo fanno con sfarzo, con tavole imbandite, con i vestiti migliori e con i ratti che passeggiano sulle tovaglie. Quando tutto sta finendo, spesso, emergono i comportamenti e le idee più geniali, più brillanti, scevre da qualsiasi condizionamento, da qualsiasi ragionamento utilitaristico_ niente da perdere né guadagnare, solo vivere. I topi? I “topi” sono tutto ciò che vive con noi, nella quotidianità, sappiamo che ci sono, ci conviviamo, parliamo di loro e con loro, ma li teniamo confinati nel “sottoscala” (per fortuna ogni tanto arriva la “peste” delle idee).
Possiamo dirlo come un disco di cose “vietate”?
Possiamo dirlo un disco di cose che, solitamente, stanno sempre dalla stessa parte della vetrina: le possiamo vedere, le possiamo commentare, ma loro non possono guardare o far uscire la voce oltre quel vetro. “Gli inquilini del sottoscala” glielo permette, anche solo per in tempo di una “riunione condominiale”.