Amore Psiche: recensione dell’album “Ginkgo Biloba”

Il secondo album di Amore Psiche, “Ginkgo Biloba”, è un lavoro che si muove agilmente tra i confini della musica folk e quelli delle sperimentazioni elettroniche. Prodotto da Francesco Campanozzi, il disco presenta un tessuto sonoro che mescola chitarre dal tono folk a ritmi sincopati e tessiture elettroniche, creando un’atmosfera quasi sotterranea.

La voce della cantante si distingue per la sua capacità di navigare queste sonorità con una delicatezza quasi felina, tessendo le parole in maniera che carica ogni traccia di un desiderio palpabile. I testi sono profondi e riflessivi, posti di fronte all’ascoltatore come un enigma avvolgente. L’album solleva questioni esistenziali su cosa rimarrebbe se ridimensionassimo i nostri bisogni materialistici e perdessimo le nostre certezze.

Il titolo “Ginkgo Biloba” non è casuale ma evocativo. Attraverso di esso, l’album riflette sulla resilienza e sulla sopravvivenza. Questa pianta, che ha superato catastrofi di massa nel corso di 250 milioni di anni, simboleggia la capacità di adattarsi e persistere attraverso le avversità, un tema che riecheggia attraverso le tracce del disco.

Musicalmente, il disco è un invito a esplorare nuove possibilità sonore, fondendo elementi tradizionali con sperimentazioni moderne. Questa fusione è bilanciata, mai sopraffatta dall’elettronica, ma piuttosto usata per accentuare il lirismo della musica folk.

In definitiva, “Ginkgo Biloba” di Amore Psiche è un album che sfida le convenzioni e invita gli ascoltatori a riflettere su questioni di grande rilievo, tutto mentre offre un’esperienza auditiva ricca e immersiva. Un lavoro notevole che potrebbe benissimo cambiare il modo in cui vediamo il mondo e il nostro posto in esso.

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