Quando la leggenda incontra la penna, nasce qualcosa che va oltre il semplice racconto: diventa omaggio, rilettura, rivelazione. È quello che accade nel romanzo d’esordio fantasy di Enrico Pedace, dove le Dolomiti – con i loro silenzi, le vette rosa dell’Enrosadira e i misteri sepolti – tornano protagoniste in una storia che affonda le radici nei poemi epici di Karl Felix Wolff. Una narrazione che intreccia la potenza mitica della montagna con le tensioni interiori dei suoi protagonisti. E che ci spinge a chiederci cosa significhi davvero “confinare” un desiderio.
L’amore… una forza suprema sopra ogni altra… che cosa resta dell’amore oggi per te, nei romanzi di vita di ognuno di noi?
Io sono un inguaribile romantico. Non a caso, nella scrittura, la mia confort zone è il romance. Lo è anche nella lettura. Oggi, purtroppo, resiste ancora il luogo comune che vuole il romance (o romanzo rosa) come genere prettamente femminile, o addirittura non classificabile come genere letterario, e pertanto se ci sono uomini che lo leggono, allora non capiscono nulla di lettura.
La verità è che tutti quanti noi, nessuno secluso, abbiamo un disperato bisogno d’amore (come cantava qualcuno nei gloriosi anni ’90), e in un mondo sempre più invaso dai rapporti virtuali, e da spaventose ondate di violenza, l’amore romantico e puro sembra essere quasi scomparso. Io non voglio credere che sia così.
Credo che sia diventato, forse, più difficile da raggiungere, ma resta pur sempre una luce potente e capace di illuminare ogni angolo di tenebra. Bisogna solo lasciarsi guidare dai suoi segnali.
Il patto di matrimonio tra Taller e un potenziale alleato, usando la figlia come pedina, solleva interrogativi sul ruolo delle donne nel potere politico. Un angolo delicatissimo viste anche le attualità. Come ne sei uscito?
Possiamo dirlo come ci pare, ma tutto si riduce a una squallida e vergognosa oggettificazione della donna. È proprio questa dimensione che ho voluto denunciare attraverso la condizione vissuta da Moena, nel romanzo.
Il patto di matrimonio era, purtroppo, la norma nel passato del nostro paese, ma è ben radicato ancora oggi in molte parti del mondo. E forse anche in alcune realtà profonde della nostra Italia. Un’oggettificazione che nasce dall’ignoranza, dalla cattiveria e si traduce in un vero e proprio atto di violenza.
Oggi, alla luce dei fatti di cronaca, risulta che non ci siamo mossi tanto dalla mentalità di Taller: basti pensare alle sentenze di stupro, nelle quali decade la violenza se la donna indossa una minigonna; o al giovane che infierisce 74 coltellate alla sua ex fidanzata, ma “solo” perché era inesperto, per cui non può esserci l’aggravante.
Cronologicamente siamo nel 2025 d.C., ma in realtà siamo ancora lontanissimi da un futuro giusto e corretto.
Il romanzo sembra portare avanti un dualismo tra bene e male. C’è spazio per ambiguità morali nei personaggi principali o sono delineati in modo netto?
Credo che siano tutti ben delineati a eccezione di uno: Sittlijeb. È una valchiria che, per secoli, è stata al servizio di Odino nel Valhalla (l’Ade, ovvero il regno dei morti, nella mitologia norrena). A causa del suo comportamento, secondo Odino scorretto, è stata espulsa dal regno degli dei.
Nella sua nuova vita, da mortale, viene trovata da Taller che, riconoscendo in lei le abilità guerresche delle valchirie, la prende con sé per poi servirsi dei suoi poteri.
In questo modo vediamo il personaggio di Sittlijeb trasformarsi da: semi dea, chiamata a trasportare le anime dei defunti nel regno dei morti, a una sorta di mercenaria al servizio del perfido Taller.
Vivi alle porte di Roma e le tue origini sono nel territorio di Cosenza. Come mai questo legame con l’estremo nord delle Dolomiti? Da dove nasce?
Questa è una domanda che mi viene posta spessissimo. Premetto che, pur essendo nato e cresciuto in una località di mare e che rappresenta l’estate, io amo da morire l’inverno, il freddo, la neve e il ghiaccio.
Questa peculiarità mi ha portato ad amare sempre di più la montagna, anche in estate, tant’è che quando mi trovavo in Calabria, mi recavo spesso e volentieri sull’altopiano della Sila. Quando, poi, ho visto per la prima volta le Dolomiti, in inverno, ne sono rimasto letteralmente stregato. Hanno esercitato tutto il loro fascino, in maniera quasi prepotente, su di me e da allora sono la mia tappa fissa durante le ferie, estive e invernali.