Vangio: l’amarezza della memoria nel nuovo singolo “Amaro a Metà”

Con “Amaro a Metà”, Vangio apre un nuovo capitolo del suo percorso musicale, unendo vissuto personale e osservazione emotiva. Il brano è un racconto intimo che parla di distanza, amicizie che resistono al tempo e al cambiamento, e luoghi che diventano simboli di un sentimento da digerire. Dietro le sonorità malinconiche si cela l’urgenza di dare un senso alle esperienze, trasformandole in musica per non scoppiare.

Abbiamo intervistato Vangio per approfondire il significato del brano, nato tra Bassano del Grappa e Milano, e scoprire il valore terapeutico che la scrittura ha per lui. Dalla scelta di un locale come immagine chiave, fino al ricordo delle relazioni che sopravvivono alla distanza, “Amaro a Metà” si racconta come un frammento di vita trasformato in canzone.

Ecco cosa ci ha detto.

“Amaro a Metà” parla di distanza e memoria: quanto tempo ci hai messo a trasformare un’esperienza personale in una canzone?
Non c’è un periodo di tempo fisso, a volte sento l’esigenza di scrivere subito le cose che mi capitano e invece altre volte ho bisogno di qualche mese per “digerirle”.

C’è una particolare immagine o ricordo che hai fissato mentre scrivevi?
Sicuramente il locale in quanto incarnazione fisica del titolo del mio brano.

Ti capita mai che la distanza arricchisca anziché impoverire i legami?
Certo, penso che la distanza, soprattutto quando ti trasferisci finite le superiori più distante come nel mio caso da Bassano del Grappa a Milano, o comunque quando cambi zona e giro di persone, la distanza in qualche modo “filtri” le amicizie e renda più forte quelle veramente solide, quelle che non necessitano di molto per stare in piedi e che sono naturali, e che ti facciano capire con quali amicizie invece ha senso “prenderla più alla leggera”.

Quanto ti ha aiutato la musica a “digerire” emozioni complicate?
È come se fosse una vera e propria psicologa per me, è fondamentale, senza musica scoppierei.

Se dovessi descrivere “Amaro a Metà” con un solo aggettivo che non sia “amaro”, quale sarebbe?
“Amarcord”.

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