Sulla poesia di Antonio Spagnuolo

Antonio Spagnuolo è la dimostrazione che nel secondo Novecento si poteva anche diventare poeti riconosciuti, conseguire premi letterari importanti e molti consensi critici senza andare a Castelporziano e a Milano poesia.

Poeta molto prolifico, dimostra ancora oggi la sua bravura con liriche che coniugano contenuti, ricchezza lessicale e compiutezza formale. Supera il dannunzianesimo e l’antidannunziesimo, la retorica e l’autogogna per essere un poeta, che riesce a far coesistere privato e pubblico, dirigendo riviste e premi letterari.

Ho letto oggi due sue belle raccolte poetiche dal titolo “Più volte sciolto” e “Futili arpeggi”, edite da “La valle del tempo”.

Innanzitutto Spagnuolo non segue le nuove tendenze. In lui non prevale l’idioletto, tanto caro a molti poeti, né l’esibizione pornografica, né l’ibridazione linguistica, né la mimesi del parlato (perché il popolo è diventato massa, come sosteneva Pasolini, e non ha più un linguaggio proprio ma un’unica lingua, la cosiddetta lingua Standa, come i supermercati), né l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Il poeta sa bene che nella società di massa le parole si sono moltiplicate e sono svalutate, che su tutto regnano le immagini omologanti imposte dal potere e allora crea una poesia in cui le immagini archetipiche si fanno parola e viceversa in un continuo circolo virtuoso, che assume letterarietà e etica.

La sua arte nasce dal raccoglimento interiore, dall’elevazione spirituale ed è onnipervasiva perché comprende l’eros ma anche il sacro, l’ancestrale ma anche l’escatologico. Spagnuolo attinge dalla memoria (“l’anima bagnata dal ricordo”), è immerso nel presente, si proietta nel futuro (“rubando tenerezze alla tua immagine/ proiettata nel futuro inutilmente”), ma senza nostalgia né conformismo.

L’autore esprime il chiaroscuro del suo animo, la controluce della sua vita e tutto questo crea un nodo irrisolto che si scioglie in poesia autentica, che sgorga dal profondo ed è comunque intrisa di intelligenza e lucidità.

Il poeta mette a nudo sé stesso con sincerità e senza pose, ma con una dignità priva di autobiografismo e di sentimentalismo. Nella sua poesia non sono importanti le coordinate spaziotemporali ma la ricerca continua di assoluto. Spagnuolo infatti dichiara: “Perché si scrive poesia? L’assoluto nella sua interezza, nella sua intima coerenza, nella sua unità con il mondo giunge a circoscrivere l’esistenza umana nello spazio di un’apparizione, di un’emersione momentanea dello spirito, simile alla vita delle foglie che improvvisamente si staccano dal ramo”. Quindi l’autore aspetta il bagliore nell’oscurità, l’intuizione fulminea, la folgorazione, l’orgasmo della mente, “quella strana vertigine che annulla” e che causa disvelamento. Da questo punto di vista l’inconscio e l’assoluto sono come fiumi carsici, che di tanto riaffiorano alla coscienza. In questo senso le emersioni momentanee dello spirito rivestono lo stesso significato delle agnizioni montaliane.

Il poeta non è un astrattista, né un figurativo, ma la sua poesia è completa perché costituita da corrispondenze e analogie.

Alcuni critici illustri hanno definito la poesia di Spagnuolo prelogica. Se è vero che, come dichiarava Moravia, l’arte è liberazione dell’Es, a mio modesto avviso in Spagnuolo prevalgono le scansioni metafisiche e gli interrogativi esistenziali. Il materiale spurio dell’inconscio viene filtrato, rielaborato, sorvegliato sapientemente. L’inconscio serve su un piano meramente linguistico a creare immagini, figure retoriche (personificazioni, metafore, similitudini, etc etc); le forze primigenie si trasformano in suono, eufonia, ritmo, ma l’approdo è squisitamente esistenziale e metafisico.

I surrealisti, i dadaisti, i futuristi si facevano dominare dell’inconscio totalmente. Per secoli l’inconscio veniva quasi rimosso da alcuni poeti, in cui faceva talvolta capolino in alcune espressioni verbali (in alcuni accostamenti inusuali) e nelle rime (in questi casi si trattava di inconscio cognitivo, quello scoperto da Tversky e Kahneman).

Nella poesia di Spagnuolo non c’è elusione dall’inconscio, né sottomissione, ma la consapevolezza che è un’istanza psichica fondamentale e che comunque non deve essere totalizzante: l’inconscio è un passepartout per giungere all’essenza.

Il suo è quindi un lavoro di scavo e di ascolto per arrivare a una dimensione più autentica. Anche la pittura metafisica origina in parte dall’inconscio, ma l’espressione dell’inconscio non è la sua finalità, né è inconscia la sua gestalt globale. In questo caso non bisogna scambiare i mezzi con i fini, anche se le prime fasi del processo creativo, ovvero la preparazione (anche le aspettative quando osserviamo sono inconsce come insegna Popper) e l’incubazione sono inconsce.

Per Spagnuolo l’inconscio è l’inizio e non la fine, il mezzo e non il fine, un punto di partenza e non di arrivo. Se è vero, come sanno i fisici, che ogni volta che osserviamo un oggetto lo modifichiamo, quanto modifichiamo noi stessi nell’atto dell’autosservazione? Tutto ciò a mio avviso lo tiene presente il poeta che non si affida esclusivamente alle sorprese e alle verità inconsce e preconsce, ma che sale anche i piani alti della psiche ed edifica una poesia che è costruita dell’infrastruttura inconscia, dalla struttura dell’io, dalle sovrastrutture culturali e spirituali.

Per Freud i simboli avevano duplice valenza: sessuale o religiosa. A mio modesto avviso il simbolo è un segno-immagine (così lo definiscono diversi linguisti) che deve essere iscritto nella polisemia e nell’ambiguità semantica di tutto il linguaggio. I simboli di Spagnuolo esprimono le grandi tematiche universali e la condizione umana: in questo senso sono prevalentemente esistenziali e metafisici.

Si potrebbe quindi parlare di poesia icastica e allo stesso tempo metafisica, fatta da sospensioni, intermittenze, che sono necessarie e propedeutiche per giungere alle epifanie. Si potrebbe definire l’intuizione un salto conscio o inconscio, che porta al problem solving. Detto in termini psicologici è l’insight che permette la ristrutturazione cognitiva. Ebbene le migliori intuizioni di Spagnuolo sono tutte logiche e sapienziali.

Alcune sentenze molto pregnanti e significative ricordano la migliore poesia aforistica degli Shorts di Auden, di alcune clausole finali di Nelo Risi, di alcuni componimenti epigrammatici dell’ultimo Montale. È una poesia autentica e genuina, che origina dell’inconscio e dal preconscio per giungere al significato ultimo delle cose e dell’animo. Più che il lato Freud-Jung, quindi più che la psicologia del profondo, bisognerebbe indagare il lato Husserl-Heidegger, quindi il lato fenomenologico e ontologico.

È dal vissuto, molto semplicemente, e dalla concezione del linguaggio come apertura all’essere che scaturiscono le liriche del poeta. Questa poesia nasce dalla coscienza della crisi del soggetto e dalla crisi della civiltà occidentale, senza condanne né toni apocalittici perché il poeta è consapevole che nessuno sa se tra poco ci sarà la fine oppure se questa è solo un’epoca di transizione in cui nuovi valori devono sostituire i vecchi valori.

La poesia di Spagnuolo ci ricorda la nostra sfera più autentica ed è per questo antitetica al culto del successo, dell’apparenza, del denaro, della competizione, del confronto sociale sempre ascendente (che guarda solo a chi sta meglio e mai a chi sta peggio, come dimostrò Festinger, lo psicologo della dissonanza cognitiva). In queste liriche c’è anche la carne che pulsa, ma senza materialismo perché tutto è intriso di interiorità e di spirito.

Spagnuolo cerca e trova “le armonie tra mente e corpo”. Ciò che colpisce è che questa poesia così autentica riesce a essere comprensibile ai più, senza esoterismi e intellettualismi, e allo stesso modo riesce a mantenere intatto un nucleo saldo e coeso di intellettualità.

In questa poesia ci sono sia la giusta distanza, che permette di oggettivare gli stati d’animo, che la partecipazione emotiva (come si vede dalle liriche amorose).

Complessivamente potremmo affermare che il poeta rinnova la tradizione (nel senso più nobile del termine, ben sapendo che le avanguardie hanno esaurito la loro spinta propulsiva e la loro carica eversiva per motivi prettamente socioculturali prima ancora che letterari).

Logica e prelogica, cultura classica e psicologia, Eros e Thanatos (talvolta c’è il senso di precarietà e di caducità, come notano i critici), nuovo e antico, quotidiano ed eterno, espressionismo e simbolismo vengono amalgamati ottimamente, lo standard qualitativo è davvero elevato e alcune liriche sono antologiche, anzi da manuali scolastici di letteratura.

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