Simone Moro e Tamara Lunger, gli alpinisti del grande freddo

Simone Moro e Tamara Lunger, gli alpinisti del grande freddo – Auditorium Santa Chiara al completo per ascoltare il racconto delle quattro prime ascensioni invernali dell’alpinista Simone Moro sui giganti dell’Himalaya e del Karakorum e dell’impresa più difficile, la prima salita invernale del temibile Nanga Parbat insieme a Tamara Lunger che a soli 70 metri dalla vetta ha dovuto rinunciare. I due alpinisti intervistati dal giornalista Alessandro Filippini hanno raccontato al pubblico la recente spedizione in Siberia sulle montagne più fredde della terra nella Chersky Range per salire la vetta del Pik Pobleda, 3300 metri. Il racconto di questa impresa è diventato ora anche un libro dal titolo emblematico Siberia -71°

Si è parlato ancora di grande alpinismo in uno degli ultimi appuntamenti della giornata conclusiva del primo Festival dello Sport. Protagonisti dell’incontro in un Auditorium Santa Chiara ancora una volta gremito Simone Moro e Tamara Lunger intervistati per l’occasione dal giornalista Alessandro Filippini.

“Soltanto un alpinista al mondo è riuscito a salire ben quattro 8000 in prima invernale, e nessuno potrà fare meglio di Simone Moro” ha detto Filippini introducendo l’alpinista bergamasco e aggiungendo: “ma uno che nasce a Bergamo doveva fare il ciclista non l’alpinista”. E la risposta di Simone Moro è stata “Vero, a Bergamo o tifi Atalanta o pedali e io avevo anche il papà ciclista amatore. Per osmosi avrei dovuto pedalare anche io, ma ho pensato di cambiare tipo di sofferenza”.

E parlando dei suoi miti nell’alpinismo Simone Moro ha citato Bonatti, anche lui bergamasco per nascita, ma il suo modello di alpinista in attività è stato Reinhold Messner. “Ho sempre detto però che non volevo e non potevo essere la copia di Messner, e che pertanto dovevo cercare io il mio percorso. È anche per questo che la scelta è poi caduta sul freddo, perché questo mi dava la possibilità di fare delle esplorazioni verticali attraverso un percorso diverso”. E poi ci sono stati i maestri con cui Moro ha arrampicato ed tra questi ha ricordato Bruno Tassi “Camoss”, Mario Curnis con il quale ha salito l’Everest, il russo Anatolij Bukreev. “Bukreev, ha ricordato Moro, mi ha insegnato a diventare un animale d’alta quota, ad avere quella sensibilità che ti ferma l’attimo prima. Se sono tornato indietro vivo da alcune spedizioni è anche grazie a lui” E poi Tamara Lunger con la quale ha fatto le sue ultime spedizioni.

“Tamara quando ha salito il K2 senza ossigeno ha lasciato indietro un gran numero di alpinisti maschi ed ha pure fatto lei la traccia. Ho capito allora che era pronta per affrontare l’himalaysmo invernale”. Filippini ha ricordato anche l’attività di Simone Moro come elicotterista d’alta quota per passare poi alle imprese invernali d Moro. Fino al 2005, l’anno dello Sisha Pangma, questa forma di alpinismo era prerogativa degli alpinisti polacchi. “Erano il mio modello”, ha spiegato Moro. Nel 2009 c’è il Makalu, insieme a Denis Urubko, che invano avevano tentato tutti i migliori alpinisti, Messner incluso. Rimanevano gli “ottomila” del Karakorum. Ed ecco nel 2011 il Gasherbrum II. “Un russo, un americano e un italiano in vetta, che detta così sembra l’inizio di una barzelletta”, ironizza Simone Moro. Restavano K2 e Nanga Parbat dove Moro ritorna insieme a Tamara nel 2016 insieme al basco Alex Txikon e al pachistano Ali Sadpara.

Tamara Lunger ha quindi raccontato i momenti della drammatica decisione di scendere da sola e rinunciare alla vetta, della successiva caduta. La conversazione è scivolata poi sulla ultima spedizione, alla quale è dedicato anche l’ultimo libro di Simone Moro e il cui titolo riporta la temperatura misurata in una località della Siberia, Jakutsk. “Ho scopeerto che c’era una catena montuosa di 1500 chilometri, le Chersky Range, più lunga delle Alpi e dove sono state salite solo 10 vette. “Ho pensato che l’esplorazione è lassù ed ho subito coinvolto Tamara. E’ stata un’altra avventura bellissima.”

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