Raffaele Murru: torniamo nel 1904 dentro la Sardegna delle miniere di “Malfidano”

A volte, la letteratura riesce a illuminare angoli dimenticati della storia meglio di qualsiasi saggio. È il caso di “Malfidano”, il romanzo uscito per Albatros Editore con cui Raffaele Murru riporta alla luce l’eccidio di Buggerru del 1904, episodio chiave nella nascita del movimento sindacale in Italia. Attraverso gli occhi delle donne che vissero quella tragedia, Murru racconta non solo il dolore e l’ingiustizia, ma anche la forza di chi, pur relegato nell’ombra, ha lottato per un futuro migliore. Un libro che invita a non dimenticare e a riflettere su quanto ancora ci sia da fare.

Il romanzo adotta il punto di vista delle donne: quale significato aggiunge questa scelta narrativa nel racconto di un evento storicamente dominato dalle figure maschili?
Pochi sanno che, post seconda rivoluzione industriale, le donne lavoravano nel sistema di produzione della miniera, erano parte di un settore produttivo della classe operaia e il nome specifico della categoria era quello di “cernitrici”. Fungevano un ruolo fondamentale perché erano l’ultima fase dell’estrazione e la prima fase della lavorazione del prodotto (zinco, piombo, argento). Dalle miniere il minerale confluiva in questi grandi edifici che erano chiamati “laverie”, proprio perché veniva lavato via il minerale e separato in una prima fase dallo sterile (pietra grezza o scarti), mediante la percussione con degli scalpelli da parte delle donne sedute in cerchio su degli scranni e, una volta raggruppato in cumuli, il minerale veniva successivamente trasportato fino al porto dove veniva imbarcato sulle bilancelle (un tipo di imbarcazione), per essere poi trasportato altrove. Esse erano le prime a censire il minerale che sarebbe poi finito verso le fasi chimiche e finali della lavorazione. La cernitrice è stato dunque uno dei primi posti di lavoro riconosciuti a livello nazionale in Italia per le donne, uno dei primi che ha visto la formazione di una classe operaia al femminile. Io racconto Malfidano da questo punto di vista perché è uno dei più interessanti, poco esplorato e conosciuto, dove abusi e soprusi erano all’ordine del giorno e dove la vita precaria era condizionata dalla fatica e dal malessere sociale. Non sono stato l’unico a farlo, prima di me Iride Peis Concas e altri hanno parlato delle donne in miniera, rivendicando il ruolo che esse avevano in un microcosmo dominato dagli uomini che aprì le sue porte alle donne nel mondo del lavoro. Con Malfidano possiamo comprendere che la miniera non fu soltanto andare a cavare la roccia sotto terra, ma era un sistema complesso suddiviso in vari settori di produzione che necessitava di uno sforzo fisico per garantire i profitti e per massimizzarli e del quale la donna ne è diventata parte integrante.

Angela, Nora, Fella, Silvia e Anna rappresentano diversi archetipi di resistenza femminile: cosa possiamo imparare da ciascuna di loro?
Ognuna di loro rappresenta alcuni caratteri dell’ampia sfera sociale femminile dell’epoca, Nora è l’anziana che ha a cuore la salute delle più giovani, facendosi carico di aiutarle fino a diventare la loro amica e custode. Angela è un capo, una guida dal carattere mascolino capace di scendere a compromessi con gli uomini fino a guadagnarsi la loro stima e che non teme ripercussioni nel far valere il suo ruolo nella società. Fella è la donna libertina e spensierata che non ha peli sulla lingua, Silvia è la madre prudente e fedele al proprio credo religioso, le due rappresentano il punto più comico per il lettore, gli opposti che si relazionano nel quotidiano con complicità come se fossero il clown bianco e l’Augusto (il Pierrot e il Toni). Anna invece rappresenta l’ingenuità della giovinezza e la sua fragilità, che per bisogno e necessità si è trovata in un loop di abusi dal quale non riesce più ad uscire. Queste sono le cernitrici protagoniste di Malfidano e ognuna di loro può raccontarci uno scorcio di quella vita quotidiana che si respirava nei primi del ‘900 in miniera, fatta di semplicità, miseria e fatica in ogni suo aspetto, riempita da azioni, dialoghi e rapporti che le protagoniste tessono con gesti di forte intesa e solidarietà, un qualcosa che solo quelle donne, in una società che segue il progresso per avidità degli uomini, possono avere e comprendere. Le donne in miniera erano le ultime, in tutto, dai salari alla gerarchia nei posti di lavoro, quindi il contesto in cui le protagoniste agiscono è una ricostruzione fedele alla realtà dell’epoca, composta di fattori che, seppur lontani e perduti, suonano come attuali, nonostante siano passati 120 anni.

Quanto il silenzio delle lavoratrici delle laverie, opposto alla visibilità dei minatori, amplifica il messaggio di resistenza e coraggio?
Quello delle laverie è un silenzio assordante, amplificato dalle condizioni con cui le donne erano costrette a lavorare. Mentre gli uomini avevano maggiore libertà di pensiero e opposizione al sistema di governance, mediato dalla grande capacità dei sindacalisti arrivati in Sardegna per rivendicare le condizioni dei lavoratori, mi riferisco a Cavallera, Corsi, Battelli e Pichi, le donne venivano emarginate da qualsiasi forma di protesta. Ecco perché ho scelto di dare loro una voce di protesta attraverso Angela, il capo della Lega di Resistenza di Buggerru in Malfidano, in sostituzione al reale rappresentate dei minatori dell’epoca Salvatore Spina. Tuttavia il tentativo di inglobare la classe operaia delle cernitrici all’interno dei movimenti non è una questione da escludere storicamente, anche perché i sindacalisti necessitavano di aggregare quanti più lavoratori possibile nelle Leghe, essi rappresentavano la Federazione Regionale dei Minatori che puntava a creare una Federazione Nazionale di categoria per tutelarli. Quindi minavano ad aumentare il numero dei membri aderenti ai movimenti per avere più potere politico. La suddivisione dei settori degli operai uomini era più ampia e varia, perché lo sforzo fisico richiesto era maggiore rispetto a quello necessario in laveria. Alle donne era proibito pure scendere sottoterra o andare in galleria e questo perché per superstizione si pensava portasse sfortuna una donna sotto terra, a posteriori possiamo affermare che quell’impedimento ha giovato in positivo alla condizione di salute delle donne nel tempo, infatti la salute cagionevole, i casi di infortunio sul lavoro e le morti premature, erano molto più frequenti negli operai uomini. Le donne lavoravano, seppur in pessime condizioni, l’estate all’aperto e l’inverso al chiuso, ma erano soggette a molto più controllo, sanzioni e pressioni da parte di vigilanti e amministratori, e la loro tenacia si evidenziava attraverso la loro capacità di portare pazienza alle costanti vessazioni. Due cose che invece hanno colpito tutti indistintamente dal sesso erano i salari troppo bassi, tra i più bassi in Europa e le troppe ore lavorative, dalle 12h alle 14h in media al giorno, che rendevano i lavoratori schiavi del lavoro.

In che modo le storie di queste donne ci aiutano a riflettere sulle battaglie di genere ancora in corso oggi?
Forse le battaglie di genere verranno sconfitte quando la visione del mondo si orienterà verso una riconoscenza dei diritti per l’individuo indistintamente dal proprio sesso, e smettendola di attribuire ed elogiare i meriti del successo solo a colui capace di emergere con la forza nella società. Ci sono determinati ambiti di genere nella società che richiedono delle scelte, e per quelle scelte che riguardano solo la sfera femminile, dovrebbero essere le donne a decidere (es. l’aborto), senza che l’uomo metta bocca in decisioni che non lo riguardano e mai lo riguarderanno. Le lotte femminili nell’ultimo secolo sono state mosse per la ricerca di eguaglianza e libertà, e Malfidano ci mostra come la ricerca della libertà per le donne – e con libertà mi riferisco alla possibilità di un individuo di potersi relazionare e poter vivere alla pari degli altri per mezzo del proprio essere – parta dalle costanti vessazioni quotidiane alle quali erano sottoposte, tentando di far sentire la propria voce per porre dei limiti agli abusi di potere gerarchici all’interno dei posti di lavoro. E anche se Malfidano è contestualizzato nell’epoca in cui è ambientato, racconta una fase storica da non dimenticare che ha caratterizzato il mondo del lavoro delle donne in Italia e in Sardegna prima dell’arrivo delle due grandi guerre. Tutto questo avveniva infatti nei primi del ‘900, ma queste battaglie si combattono ancora oggi, perché le donne in carriera e, alle quali viene data la possibilità di farla, sono ancora meno degli uomini e non perché meno ambiziose o meritevoli, le donne vengono ancora pagate meno degli uomini, come se il loro tempo adoperato nel lavorare valesse meno rispetto a quello di un uomo e subiscono ancora abusi che vengono sminuiti banalmente o non ascoltati. Si stima che una donna su tre in Italia abbia subito almeno un abuso nella sua vita e stando alle stime risulta che quindi un uomo su tre ne abbia commesso almeno uno, e questo è il dato più agghiacciante per la lotta di genere oggi. La riflessione che dobbiamo fare sul tema riguarda una serie di problemi di genere mutati ed evoluti nel corso tempo e mai estinti, che ci siamo portati dietro come una macchia, un fardello. Dovremmo pensare di porre fine a questo fenomeno sociale con una seria introduzione di mezzi nella società capaci di contrastare le discriminazioni, e l’educazione e la sensibilizzazione fin dalla giovane età sarebbero un buon punto di partenza in tal senso.

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