Nuju: attraverso una clessidra, da nord a sud

Come una clessidra non solo per rendere forma al tempo quanto anche per giustificare un passaggio. Da nord a sud e viceversa passando inevitabilmente per un equatore che è anche un confine, una linea di cambiamento. Questa è l’Italia ma anche anche tutto il resto del mondo… e come cambia il suono, l’abitudine, il tempo stesso nella vita di ogni giorno? Ed è forse questa la ragione che sta dietro un disco come “Clessidra”, il nuovo lavoro della band calabrese dei Nuju, progetto ormai di stanza a Bologna che mette in scena un kombat folk sempre denso di derive popolari, pop, rock… un vero disco di “folk” dai significati antichi.

L’Equatore divide. E la divisione in questo disco impera sovrana come concetto… il futuro unisce o divide?
Il futuro, per noi, è da costruire sulle basi del presente e nel ricordo del passato. Il nostro disco guarda al futuro, ma senza mai dimenticare l’importanza delle radici, anche se fa male prendere consapevolezza di ciò che non va nel mondo che amiamo. Gustav Mahler diceva: «la tradizione non è l’adorazione delle ceneri, ma la custodia del fuoco». Il futuro che immaginiamo è quello di un’umanità unita, raccolta intorno a quel fuoco a scrivere la storia dei propri figli. La nostra band nasce come un progetto collettivo, anacronistico in questi tempi di venerato individualismo, ma non smettiamo mai di pensare che nel futuro ci si possa sentire più uniti, più vicini, più comunità.

E voi che avete superato questo equatore allegorico (ma neanche tanto)… è stato uno scegliere le parti o comunque un lavoro quotidiano di comunicazione tra le parti?
Non è una scelta, noi non vogliamo che si debba dire se è meglio il Nord o il Sud, l’Est o L’Ovest. È come chiedere vuoi più bene a papà o mamma. La terra è una, l’umanità anche, quindi bisogna lavorare perché le parti comunichino e si uniscano. La scelta di affamare l’Africa o di puntare sul capitale, ha creato differenze e tragedie, lo vediamo ogni giorno nella nostra attualità.
Noi scegliamo da che parte stare quando dichiariamo di voler lottare contro la tirannia del denaro, di voler lottare per la pace, di scegliere l’ecologia contro il degrado climatico, di cercare una vita più semplice e spirituale contro una vita consumistica, basata sulla bulimia degli acquisti.
Da sempre i Nuju sono per l’amore e le feste, contro la frenesia quotidiana della nostra società. Continuiamo a dichiararlo con questo disco e l’allegoria dell’equatore, può rappresentare tutte queste scelte, ma anche la voglia di confronto tra le parti.

Che poi questo disco, anche dal punto di vista sonoro, cerca comunque di schierarsi… una scelta che sembra catalogare a suo modo il sud e il nord… molto interessante tra l’altro. Cosa ci dite?
I Nuju sono una band schierata, una band politica. Abbiamo sempre cercato di evitare gli slogan semplici, che possono diventare vuoti nelle bocche di chi non approfondisce. In “Clessidra” questa scelta di schierarsi è più netta anche nel sound, nella divisione dell’album tra la prima parte più elettrica ed elettronica e la seconda più acustica e world. È stato un processo nato per caso, non dichiarato a priori, anche perché l’album ha avuto una lavorazione lunga e siamo arrivati solo a posteriori a comprendere il concept che avevamo creato.

E nel concetto di kombat, come anche nelle liriche del disco, che tipo di “rivoluzione” o di critica troveremo?
La rivoluzione non c’è. Potremmo dire che proponiamo un tentativo di rivolta contro una società che ci spinge a non pensare, che ci inebetisce in modo subdolo attraverso gli stessi strumenti che pensiamo ci diano la libertà. Non siamo certi i primi a pensare che la fruizione della musica, o dei contenuti artistici in genere, oggi sia superficiale e poco approfondita. Noi critichiamo questo modo di percepire l’arte. Vorremmo che ci si prendesse il giusto tempo per vedere un film o ascoltare una canzone. Solo con la giusta attenzione possono nascere nuovi pensieri. Ecco, la nostra critica è verso una società che agisce molto e pensa poco.

E per chiudere: esiste ancora un senso da dare al Kombat Folk?
In realtà noi non abbiamo mai pensato di fare del Combat folk, ma è inevitabile essere catalogati e noi siamo finiti dentro questa etichetta. Non ci dispiace, anzi, il termine combat ci piace tanto. Non siamo solo folk. Abbiamo molto della band rock e tante influenze world. Speriamo, dopo sei album, che sia arrivato al pubblico un sound riconoscibile dei Nuju, ma va bene essere combat folk. C’è bisogno di questo genere musicale, perché sta dalla parte degli ultimi, spinge a pensare e porta allegria. Se questo è il senso: “que viva combat folk!”.

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