Matteo Crudele e il respiro di “Land of the Free”. L’intervista

Un romanzo che nasce come ponte tra generazioni e diventa viaggio di scoperta personale. Matteo Crudele, giovanissimo autore, racconta il West come specchio della nostra epoca, dove vento, memoria e dialogo guidano una riflessione sul senso della libertà e sul coraggio di ascoltare l’altro.

Ciao, Matteo. Da dove nasce l’ispirazione per il tuo nuovo romanzo “Land of the Free”?

Ciao, il nome del romanzo in sé è già abbastanza evocativo: Chi è veramente libero in quelle terre di frontiera? I Coloni che avanzano, fiduciosi che la loro civiltà “superiore” sia la vera risposta al bisogno di libertà o piuttosto i Nativi, che vivevano già liberi, in perfetta armonia col creato e con la natura incontaminata? Se ci pensiamo, queste ultime parole dell’inno statunitense sono un controsenso, insomma, un Paese nato con le intenzioni di divenire la patria degli uomini liberi si fonda su un genocidio, non diverso da quello che vediamo oggi in Palestina, ed in tanti altri esempi che la storia ci ha dato. Il mio romanzo trae ispirazione dal Musical “Oltre la Montagna”, scritto da mio Padre nel 92, ma esplora temi più controversi, ne ho cambiato anche il finale… insomma, l’idea originale mi piaceva, ma lasciarla solo con canzoni e recitato secondo me non dava il giusto valore al tutto. Ecco, nel romanzo tento di esplorare quei temi, e credimi, non è stato facile.

Cosa ti affascina del West? Quali suggestioni evoca in te?

Il West per me è come una porta spalancata sull’anima dell’uomo. Non è solo polvere, cavalli e Colt: è una terra che racconta scelte difficili, silenzi più forti delle parole e strade che nessuno aveva ancora tracciato. Quello che mi affascina davvero è il suo contrasto: la durezza della vita quotidiana e, allo stesso tempo, la speranza che si aggrappa a ogni tramonto. Il tema della speranza permea tutto il romanzo se ci fai attenzione. Il West evoca immagini antiche, quasi mitiche, ma anche emozioni modernissime: il bisogno di giustizia, il coraggio di cambiare strada, la voglia di credere in qualcosa di più grande. Stanco del filone dei supereroi ho voluto cimentarmi in questa dimensione che sembra “vecchia”, ma in realtà per me e per i ragazzi come me è sconosciuta, quasi fosse una cosa nuova. È una dimensione dove tutto è essenziale. E proprio in quell’essenzialità, secondo me, si trovano le domande più importanti.

C’è qualche metafora dietro alla lotta e all’incontro fra i nativi e i coloni?

Sì, assolutamente. Dietro la lotta – e soprattutto dietro l’incontro – tra Nativi e Coloni c’è una metafora che, almeno per me, è universale. Da una parte c’è la paura dell’altro, la fatica di lasciare spazio a chi è diverso, a chi ha un modo diverso di pensare, di vivere, perfino di camminare nel mondo. Dall’altra parte, però, c’è anche la possibilità di capirsi, di scoprire che forse quello che chiamiamo ‘nemico’ è soltanto qualcuno che non abbiamo mai ascoltato davvero. In Land of the Free, la tensione tra i due popoli è come uno specchio del mondo di oggi: ci sono muri da abbattere, pregiudizi da scardinare, e soprattutto c’è un grande bisogno di dialogo. Il dialogo, però, non è mai facile, anzi. Spesso passa attraverso il dolore, il silenzio, e anche la morte. Ma se si riesce ad arrivare all’ascolto, si scopre qualcosa di profondo: che la verità non è di uno solo, ma si costruisce insieme, ci si arriva insieme, grazie anche alla voce del vento, perché da soli non possiamo fare niente. È lì che per me nasce la metafora più grande del libro: la possibilità che il conflitto diventi incontro, che la frontiera non sia più solo una linea che divide, ma un luogo dove ci si può finalmente incontrare. Ecco, credo che questa sia una lezione che va oltre il tempo del West. È una storia che parla anche a noi, oggi. Forse è per questo ho sentito l’urgenza di raccontarla, il libro è stato completato in un anno circa, dopo il mio primo romanzo di fantascienza.

Hai già in mente qualche progetto per il futuro?

In realtà sì, anche se per ora è ancora tutto un po’ in costruzione. Dopo Land of the Free, che affonda le sue radici nel West e in un Nordamerica simbolico, sto iniziando a esplorare un mondo completamente diverso ma altrettanto affascinante: quello dei Cavalieri Templari, delle antiche abbazie e delle società segrete che si muovono nell’ombra della Storia. Mi affascina l’idea che ci siano misteri rimasti sepolti per secoli e che la verità, a volte, sia nascosta tra le pieghe dei racconti dimenticati. Non voglio anticipare troppo, ma sto lavorando a una storia che mescolerà tempo, fede, dubbi e segreti, dove niente è come sembra e ogni simbolo ha un significato nascosto. Sarà un salto nel Medioevo, ma con uno sguardo moderno, e soprattutto con lo stesso desiderio di porre domande scomode, di cercare verità che forse fanno paura ma che vale la pena affrontare. Scrivere questo nuovo progetto è come camminare dentro una cattedrale buia con una torcia in mano: sai che qualcosa di grande ti aspetta, ma devi avere il coraggio di andare fino in fondo. E io spero di averlo.

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