Ci sono estati che non finiscono, anche quando la sabbia non resta più tra le dita. Fastidiosissima sabbia aggiungerei io… “Biglie” di Manuele Albanese è una di quelle: estati a pastello, di amori e di colonne sonore, un piccolo universo lucente dove l’amore gioca, inciampa e si rialza, seguendo traiettorie che nessuno può davvero prevedere. C’è una caviglia ingessata, un divano, un sorriso sospeso e un cielo che continua a cambiare colore. C’è la vita che rotola, leggera e testarda, come una biglia sulla spiaggia dell’infanzia. Prodotto da Edoardo Piccolo e pubblicato da Cramps Music, l’album d’esordio del cantautore vicentino accende una malinconia gentile, quella che consola invece di ferire, trasformando ogni ricordo in una corsa verso il cuore.
Come fosse una “Educazione sentimentale…” in fondo sembra davvero questo il cuore del disco… vero?
Biglia dopo biglia il protagonista del disco (che un pochino mi assomiglia…) impara a proprie spese a conoscere la vera natura dei propri sentimenti, ma anche delle proprie illusioni. Ma se una volta finito di ascoltare il lato B si riascolta il lato ci si rende conto che non c’è soluzione di continuità, gli errori della prima traccia sono diretta conseguenza di ciò che accade nell’ultima, ed all’infinito riprende
E quindi, secondo te, oggi dovremmo rieducarci? O forse dovremmo smetterla di educarci così tanto?
Rieducarci? Dovremmo semmai smetterla di prenderci troppo sul serio e rassegnarci al fatto che siamo come delle biglie: rotoliamo dove capita, ma ci fingiamo autisti provetti al volante. Più ci educhiamo, più crediamo di avere il controllo… ma basta un colpo di dito e finiamo fuori pista.
E nel dircelo, non sembra una contraddizione aver scelto stilemi e suoni così “composti ed educati”?
Certo che è una contraddizione, ma è voluta. Mi piaceva l’idea di parlare del caos con strumenti in ordine, di raccontare l’imprevedibilità usando suoni che sembrano controllati. È un po’ come lucidare una biglia prima di lanciarla: puoi farla brillare quanto vuoi, ma non saprai mai dove andrà a finire. In fondo anche l’equilibrio può essere una forma di ironia.
Altri due poli opposti: leggerezza e malinconia. O sono lati di una stessa medaglia, inscindibile?
Sono le due facce della biglia: quella colorata è la leggerezza, quella con il contenuto è la malinconia, ma via via che la biglia rotola i due stati si confondono. Qualche giorno fa ho rivisto “Inside out”, un cartoon per grandi e piccini che, tra i tanti insegnamenti, ne dà uno non scontato: gioia e tristezza sono ugualmente indispensabili.
Nella tua scrittura il disincanto non diventa mai cinismo: è una scelta consapevole o un riflesso spontaneo del tuo carattere?
Credo che dipenda dal mio carattere. Il cinismo richiede troppo impegno, bisogna prenderlo sul serio, e io non ci riesco nemmeno con me stesso. Il disincanto invece mi viene naturale, è come dire “so già che andrà male”, ma con un sorriso e un bicchiere in mano. È il mio modo di restare leggero anche quando le cose diventano pesanti.
Che sia un vero disco rock questo? So che hai capito cosa intendo per rock…
Hai messo il dito nella piaga! La domanda è: cos’è il ‘rock’ oggi? Intendi per rock quella cosa che ti parte da dentro e ti fa dimenticare tutto il resto quando sei sul palco? Quella che è più un bisogno fisico che un ragionamento? Ecco, se è quello che intendi, allora sì, questo disco è rock al 100%.









