L’intervista ai Gamaar dopo l’uscita di Kafka For President

É uscito a novembre l’album di debutto del progetto Gamaar, fondato dalla cantautrice e produttrice bresciana Gabriella Diana. Un nuovo capitolo che prende il nome di “Kafka For President”, un disco arrabbiato: nuotando nell’assurdo, racconta cosa succede alla mente quando galleggia e quando affoga. Vivendo in una società capitalista, una società della performance, del consumo, dello sfruttamento lavorativo, del trauma, del privilegio e della discriminazione, cosa succede alla nostra salute mentale? Si rompe, si contorce e resiste. Un alternative rock che sa di anni 90: suoni acidi e distorti, batterie energiche e ritmiche scomposte, quasi nevrotiche, con un cantato recitato, urlato, talvolta morbidamente malinconico.

Li abbiamo intervistati.

Questo disco sembra una lunga ed estenuante di psicoanalisi. Cosa hai imparato di te stessa nel corso della scrittura di questo disco?

Ho imparato che mi piace auto sabotarmi, e che sono più forte di quello che penso. Che non tutte le voci nella nostra testa ci rappresentano, ma spesso vogliono solo proteggerci da delusioni e dolori, nascondendoci in rifugi familiari ma non per questo sani. Ho imparato a dire di sì più spesso a cose che non mi va di fare per paura o insicurezza, e ad ascoltarmi più attentamente. Sto ancora imparando, sto ancora crescendo, ma questo disco è stata la conclusione di un periodo della mia vita molto cupo, e pubblicarlo è stato un sollievo e una soddisfazione.

La musica è a tutti gli effetti un aiuto?

No, non a tutti gli effetti. Talvolta è un aiuto comporla e ascoltarla, ma tutto ciò che “gira intorno” all’essere musicista può essere stressante e molto frustrante. Allo stesso tempo non so che persona sarei diventata se non fosse per la musica, non saprei come definirmi senza di lei. Ma sarei una bugiarda se dicessi che è sempre e solo tutto bello. La musica è lavoro, è prendere coraggio anche se non ti va, salire sul palco a prescindere da come ti senti, dal tuo umore, da com’è andata la tua giornata, è sacrificio e richiede tanta pazienza; ma è anche qualcosa che mi fa sentire come nessun’altra cosa al mondo. E ciò che provo, quella sorta di trance in cui cado quando suono o scrivo, aiuta a ricordarmi che non tutto è calcolabile, non tutto appartiene ai soldi o al lavoro. È un piccolo angolo di vita in cui comando io, in cui posso sentirmi libera, in cui riesco a darmi un senso.

Qual è la parte più difficile dellavere un progetto musicale? E a parte il fare musica, a che cosa bisogna pensare in particolare?

La parte più difficile per quanto mi riguarda è sicuramente la gestione dei social: è un lato, in campo artistico e non, molto importante oggi e che richiede programmazione, costanza e idee fresche, tutte cose molto impegnative se già si ha una vita frenetica che risucchia le energie. Sto cercando un modo salutare di gestirli, senza andare in ansia e senza aspettative esagerate. E oltre al fare musica bisogna pensare a tante cose: promozione, immagine del gruppo, gestione del palco e dei concerti, trovare date, collaborazioni e soprattutto i soldi per finanziare spostamenti, sale prova, registrazioni. Insomma se si sommano tutti questi aspetti viene fuori un vero e proprio lavoro.

E che cosa avete in comune con Tarantino?

La voglia di esagerare, credo. Il lato quasi “fumettistico” dei suoi film, l’eccesso di sangue e violenza così come i lunghi dialoghi su temi improbabili rispetto al contesto nel quale la scena prende vita, hanno in comune la voglia di seguire una propria idea di bellezza, e di rischiare eccedendo. Con Gamaar esageriamo ed esasperiamo alcuni aspetti che ci piacciono e troviamo interessanti, per vedere fino a dove ci portano; che cosa succede se rendiamo una chitarra molto acida? Quando e se diventa fastidiosa, vogliamo davvero che non lo sia?

In secondo luogo anche l’atmosfera che creano i brani, questo sentore di follia ed espressione “violenta” del pensiero attraverso il sound e il cantato. Queste due cose penso compongano un po’ l’anima pulp del progetto.

La tua ambizione massima?

Maturare un rapporto sano con la musica, riuscire a trarne gioia senza aspettative di “successo” obbligatoriamente. Ma soprattutto sentire di fare qualcosa di utile, che arrivi alle persone, che queste si sentano toccate dai temi e dai testi, che condividano la nostra visione e si sentano abbracciate dalla nostra musica.

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