La Rai a Napoli: l’incontro con il giornalista Michelangelo Iossa

Oggi incontriamo il giornalista e scrittore Michelangelo Iossa per parlare del suo libro La Rai a Napoli. 1963/2023: sessant’anni di televisione all’ombra del Vesuvio, pubblicato da Rogiosi proprio in concomitanza con il compleanno del CPTV di Viale Marconi,  e fare con lui un viaggio fatto di parole, di incontri, di suggestioni, di emozioni e di persone.

Questo libro è nato dalle colonne del Corriere della Sera e non è la prima volta che un tuo reportage si trasforma in un libro: sto pensando a “Il Giro del mondo in 40 Napoli” uscito proprio per Rogiosi Editore qualche anno fa. Mi incuriosisce molto capire come nasce un reportage e come ti è venuta l’idea di farne uno proprio sulla Rai?

Nell’estate del 2020 ho avuto la fortuna di raccontare sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno – che da oltre un quarto di secolo è ‘dorso’ ed estensione del Corriere della Sera – un’ampia fetta della storia della televisione italiana da un punto di vista privilegiato, stimolante e geograficamente unico: il Centro di Produzione Rai di Napoli, uno dei poli produttivi della radiotelevisione italiana insieme a Torino, Milano e Roma. Il viaggio condotto sulle pagine del quotidiano si è, nel corso del tempo, arricchito con successivi approfondimenti, ampliamenti e interviste fino a decostruirsi e ricostruirsi in forma di libro, in occasione del sessantesimo anniversario dell’inaugurazione del CPTV RAI di Napoli, avvenuta nel marzo del 1963.

Per raccontare i sei decenni di televisione nata all’ombra del Vesuvio, ho selezionato diciannove trasmissioni-simbolo della storia del polo partenopeo, analizzandone la genesi e le caratteristiche, i team di lavoro, la scrittura autorale e intervistando i protagonisti delle singole produzioni.

Tre elementi hanno catturato la mia attenzione di cronista e scrittore. Il primo è legato – tout court – al Centro di Via Marconi: questo luogo appare, da quanto emerso dalle interviste e dagli approfondimenti condotti nel corso del tempo, un polo ‘proponente’ e altamente creativo, non soltanto un semplice ‘messo notificatore’ di scelte centralizzate.

Il secondo elemento è sorprendente ed è di tipo aggregativo-alimentare: Amadeus, Piero Dorfles, Licia Colò e Carla Signoris, ad esempio, hanno ricordato la centralità del bar e della mensa. Una ‘fabbrica’ è fatta di luoghi, di incontri, ma anche di cortesie, di sorrisi, di aggregazione, di profumi e di sapori.

Il terzo è legato a una risposta che ho ricevuto dalla gran parte degli intervistati: “Se mi proponessero di fare tutte le trasmissioni a Napoli, ci metterei la firma!”. E lo hanno detto Pippo Baudo, Antonella Clerici, Alessandro Greco, Stefano De Martino, Renzo Arbore, Vincenzo Salemme e, ancora, la Signoris e Amadeus. È molto più di una battuta, visto che proviene da figure con percorsi professionali e artistici molto differenti e costruiti in epoche lontane tra loro.

Nell’agosto del 2020, il direttore del Corriere del Mezzogiorno Enzo d’Errico introduceva il mio reportage “La Rai a Napoli” con un editoriale che promuoveva una profonda riflessione sull’Italia meridionale, sulla cultura del nostro Paese e sulle forme di coscienza collettiva nazionale. Nelle parole del direttore d’Errico emergeva un punto-chiave: la valorizzazione della cultura non basta se non è inserita all’interno di un progetto destinato a trasformare il comparto in un “sistema”. Qui può entrare in gioco la fabbrica, appunto.
Una fabbrica è un luogo che può esprimere produzione, creatività e spirito di squadra. La RAI di Napoli può essere un eccellente esempio in tal senso.

Da studioso della comunicazione quale sei, vorrei chiederti come è cambiato il linguaggio e il ruolo sociale della televisione negli anni e come oggi competa con il mondo dei social.

Mi piace, per rispondere alla domanda, citare l’intervista a Carlo Massarini contenuta nel mio libro “La RAI a Napoli”: nella vita professionale del conduttore e giornalista spezzino fa bella mostra di sé “MediaMente”, produzione targata RAI Napoli fortemente innovativa e ancor oggi irripetuta, in onda tra il 1994 e il 2002.

“MediaMente era inferiore, in termini di ascolti, rispetto ad un varietà serale ma risultava decisamente superiore come impatto sui contenuti televisivi. Fu il primo programma al mondo che, quotidianamente e organicamente, si occupava dei linguaggi e del mondo del digitale” ha spiegato Massarini. Nato da un’idea del napoletano Renato Parascandolo, “MediaMente” era prodotto da VideoSapere, divenuto poi RAI Educational: l’intuizione fu quella di non invitare tecnocrati ma filosofi. Era necessario raccontare visioni, nuove imprenditorialità e, soprattutto, l’impatto di Internet sulle nostre vite; all’epoca i grandi players internazionali erano AOL e Yahoo.
Una visione, un ricordo di Massarini è legato ad un’intervista fatta a Nicholas Negroponte a Napoli nel 1995: “Mi disse – spiega Massarini nel libro – ‘Ben presto Internet sarà ovunque, sarà come l’aria che respiri’. La profezia si è avverata”.

In realtà il mondo digitale ha modificato profondamente il nostro rapporto con l’idea di televisione generalista e di ‘palinstesto’. I canali social, la tv generalista, le piattaforme e perfino la radio in televisione permettono a tutti noi di creare una nostra personale emittente. Il singolo canale a cui affezionarsi, una sorta di love brand costante, di fatto non esiste più.

Napoli ha un carattere forte, avvolgente, penetrante. È difficile percepire questa città come un semplice scenario, come un qualcosa di altro. È impossibile resisterle dopo un po’ che la vivi te ne trovi avvolto. Quanto secondo te questo ha influito nel forgiare la natura del Centro di Produzione Rai di viale Marconi, quanto la creatività e la passionalità dei napoletani ha significato per la Rai e quanto la Rai ha restituito ai partenopei in termini di crescita sociale e culturale?

Nel mio libro ho cercato di ‘esplorare’ proprio questo aspetto, condividendo con il popolare romanziere Maurizio de Giovanni una conversazione dedicata alla RAI di Fuorigrotta, al capoluogo partenopeo, ai suoi successi catodici e alla “civitas televisiva” in cui Napoli si è trasformata nel corso degli ultimi anni.
“Esistono scrittori di parole, come i poeti. E poi esistono scrittori di storie, di trame. Io appartengo a questa seconda categoria. Ed è per questo che afferro le idee che Napoli mi suggerisce” spiega de Giovanni.
In questi ultimi anni, Napoli ha ospitato migliaia di produzioni audiovisive, dalle serie internazionali ai video dei trapper, dalle soap opera di stampo glocal ai kolossal hollywoodiani. Dal 2004 in avanti – in questo primo scorcio del XXI secolo – oltre mille sono le produzioni che hanno coinvolto la Campania Film Commission, solo per proporre un esempio recente, e con la nascita del Distretto Campano dell’Audiovisivo, Polo del Digitale e dell’Animazione Creativa e del futuro Cineporto napoletano, il capoluogo confermerà il suo ruolo-chiave nell’ambito dell’industria audiovisiva italiana ed europea.

Napoli e la Campania si rivelano mete d’eccezione per i maestri del cinema e del documentario: in tal senso la RAI di Napoli ha rappresentato – sessant’anni fa – il primo passo verso una consapevolezza di una vocazione che è propria del territorio. “La RAI di via Marconi ha un ruolo fondamentale nella storia culturale della città e del Mezzogiorno. Quando ero ragazzino ci passavo davanti mentre andavo allo Stadio San Paolo e ricordo distintamente l’emozione che provai quando entrai per la prima volta nell’Auditorium, alla fine degli anni Settanta” mi ha rivelato de Maurizio Giovanni.

Il sistema audiovisivo campano è oggi in grado di gestire anche grandi processi produttivi di carattere industriale, dalle serie in costume a film d’autore. “L’Amica Geniale”, il cinema di Paolo Sorrentino e di Ferzan Ozpetek, “Gomorra”, “La vita bugiarda degli adulti”, i documentari di Alberto Angela e di Stanley Tucci, la serialità di “Un posto al sole”: i grandi player italiani e internazionali – dalla RAI a Netflix, passando per SKY o Fandango – lasciano che Napoli si esprima come autentica protagonista visiva e sociale. Rappresentarsi e autorappresentarsi appaiono esigenze inevitabili di una città e di un’area extracittadina che da sempre è al centro della scena teatrale, cinematografica, radiofonica e televisiva.

La Campania sembra essere oggi l’area regionale italiana con il maggior numero di set “attivi”, tra film, progetti seriali, videoclip e documentari. È la dimostrazione di ciò che affermava il grande Vittorio De Sica: “Napoli è la città più fotogenica del mondo!”.

La tua vocazione di narratore traspare in ogni tuo scritto, sia esso un articolo per il Corriere della Sera o un saggio o un intervento televisivo o radiofonico. Quando hai capito che raccontare la vita, le persone, i fatti sarebbe stato il centro della tua esistenza?

“Io non ho una vocazione narrativa. Scrivo, che è una cosa molto diversa” affermava il grande Ennio Flaiano con uno dei suoi fulminanti aforismi.
A dodici anni capii la forza del giornalismo quando mi ritrovai a leggere un mio tema dedicato al grande cronista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra esattamente un anno prima, alla presenza di sua madre e dei suoi familiari: in quella occasione mi resi conto della forza profonda della parola scritta. Fu come una specie di manifestazione ‘plastica’ della poderosa energia di quelle pagine fatte, all’epoca, di carta e caratteri di piombo.
Quando i miei genitori mi raccontavano – e mi raccontano ancora – le storie e le memorie delle loro famiglie, sembra che mi accompagnano in un luogo fisico, ‘materico’, non soltanto ideale. Da loro ho forse appreso l’importanza della narrazione legata alle persone, alle storie personali e familiari e, in qualche modo, l’ho trasferito nei racconti che condivido con mio figlio ma anche nelle biografie di musicisti che ho raccontato nei libri, ad esempio, ma anche negli articoli o nei reportage giornalistici.

Potremmo immaginare la Storia come sommatoria di milioni di biografie, la Storia come frutto di miliardi di storie diverse che si incontrano per qualche motivo. Quando scrivo un articolo o una biografia cerco sempre l’umano che si cela dietro ogni storia, l’humanitas che si nasconde dietro le vicende, i rapporti tra le persone. Lì dentro c’è qualcosa di veramente forte, di autentico.

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