La “pratica” internazionale dei Nicaragua nel debut album. L’intervista

La “pratica” internazionale dei Nicaragua nel debut album. L’intervista

  1. Ciao ragazzi, benvenuti. Il 18 dicembre è uscito il vostro debut album “Practice Over Theory”, il cui titolo è uno statement chiaro, quasi una regola di vita. Cosa rappresenta per voi?

Grazie mille per averci ospitato. Il titolo racconta in maniera molto diretta quello che è stato il nostro approccio durante la scrittura e le registrazioni. Non abbiamo deciso cosa avremmo suonato ma abbiamo iniziato a farlo in maniera direi spontanea. Quindi il titolo sottolinea l’importanza dell’azione nell’arte; così come per altre discipline, anche la musica deve essere vissuta in quello spazio tra la mente e il corpo, prima ancora di essere contemplata e studiata.

Comunque potrebbe essere una buona risposta il videoclip di Hurricane girato dai Dial e prodotto da Withstand.

  1. Fin dal primo ascolto si percepiscono subito le tante influenze della vostra proposta, che arriva fino a sonorità lounge. Quanto le vostre esperienze musicali passate hanno influito su questo album e sul vostro songwriting?

Le influenze sono delle memorie che non sai di avere. Quando ti capita di suonare, di improvvisare, su una base ti rendi conto a volte che vivi dei piccoli deja vu. Sono questi forse delle risonanze di musiche che hai vissuto, dei giri armonici o delle atmosfere che ti hanno segnato ma in realtà ci capita veramente molto raramente di identificare l’origine, ammesso che effettivamente ci sia. Queste sono le influenze e dato che di musica ne ascoltiamo tantissima e di ogni tipo qualcosa ti si infila sotto pelle ed esce quando hai voglia di scrivere.

Gli altri nostri progetti musicali influiscono certamente, identificare dove e come è più facile per chi ascolta che per chi suona.

  1. Un disco nato durante il lockdown, in un anno complicato come il 2020. Se fosse stato un anno diverso, cosa sarebbe cambiato in “Practice Over Theory”?

Domanda interessante che però è difficile risolvere. Forse non avremmo mai avuto il tempo di cominciare questo progetto, quindi avremmo magari aspettato un momento di stallo tra i vari progetti e sarebbero passati mesi. La cosa che secondo me è legata a questo anno difficile è il fatto che è un disco leggero ma non superficiale. E’ nato un come disco di speranza senza scordarsi del momento complicato in cui ha visto la luce.

  1. Come sono nate le tante collaborazioni internazionali presenti nell’album?

In un momento di distanza sociale così evidente e forzata abbiamo sentito la necessità di metterci in contatto con amici, di condividere questa musica con altri musicisti. E’ nato proprio così, come pretesto per fare due chiacchere in più e magari costruire un pezzetto di musica insieme. Devo dire che tutte le persone che abbiamo coinvolto hanno colto lo spunto con un bellissimo spirito, forse qualcosa di positivo ci lascerà questo brutto periodo.

  1. Se tra un anno rifacessimo l’intervista, cosa vorreste poter dire dei Nicaragua?

Chi l’avrebbe detto, tra una settimana suoniamo al Madison Square Garden e siamo ancora qui a bere le birrette al Ponkj.

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