I Tarantola originari del Salento sono proiettati su un orizzonte internazionale, fondono reggae, dub, soul, dancehall e taranta in un mix sonoro unico che celebra l’identità, la resistenza e l’unità tra i popoli. Il loro approccio musicale è profondamente politico e poetico: attraverso testi in inglese, italiano e dialetto salentino, raccontano storie di migrazione, orgoglio culturale e connessione umana. Con collaborazioni che spaziano dalla Giamaica a Londra fino al cuore del Mediterraneo, i Tarantola costruiscono un ponte tra le culture, usando la musica come strumento di cura, lotta e speranza. Li abbiamo incontrati in occasione dell’uscita di One Blood, il nuovo album, ed abbiamo parlato con loro di musica e misticismo.
È uscito da poco One Blood, il nuovo album di Tarantola. Siete soddisfatti del risultato finale?
Sì, molto. È un lavoro che ha richiesto tempo, dedizione e tante energie, ma proprio per questo rispecchia esattamente ciò che volevamo dire e trasmettere. One Blood è il nostro manifesto: un disco che parla di identità, migrazione, spiritualità e resistenza, con una produzione curata e un sound che fonde radici e contemporaneità. Siamo felici che finalmente sia fuori e stia incontrando le persone giuste.
Diversi i feat contenuti nell’album. Come avete scelto le collaborazioni?
In modo molto naturale. Ogni featuring è nato da una connessione reale, umana, prima ancora che musicale. Abbiamo scelto artisti che stimiamo profondamente e che condividevano il messaggio dei brani. Non ci interessavano solo i “nomi”, ma la vibrazione giusta, l’energia compatibile. Volevamo voci che potessero rafforzare il senso di unità e varietà che One Blood porta con sé.
Come avete organizzato il lavoro con gli ospiti salentini? (interventi, registrazioni ecc.)
Io e Sabaman viviamo entrambi a Londra, mentre con Papa Leu, abbiamo registrato a distanza, per il videoclip invece ci siamo incontrati in Salento.
In “Soul Vibration” parlate di anima e di connessione spirituale. Sono temi vicini alla vostra visione della vita? Una visione che si può definire per certi versi mistica?
Assolutamente sì. Per noi la musica non è solo suono, ma una forma di medicina, di preghiera, di liberazione. In Soul Vibration c’è tutto questo: l’idea che ogni vibrazione sia una connessione tra spirito e materia. La nostra visione è in parte spirituale, sicuramente influenzati da quella tradizione mistica della Taranta. Crediamo nella forza invisibile delle emozioni, nella potenza delle intenzioni, nella musica come rituale.
I testi delle vostre canzoni sono sempre autobiografici?
Spesso sì, ma non solo. Partono quasi sempre da un vissuto personale, ma cercano poi di aprirsi a un piano collettivo. Anche quando racconto una mia esperienza, cerco di farlo in modo che chi ascolta possa riconoscersi, trovare uno specchio. A volte i testi nascono da storie che ci sono state raccontate, da incontri, da realtà che ci hanno colpito. Ma c’è sempre un cuore sincero dietro ogni parola.