La semplicità sembra fare di nuovo capolino dentro questo disco che segna un esordio, un nuovo modo di pensare al proprio suono cullato in una “gavetta” lunga anni. Perché in fondo la verità è che Greta Caserta nel suono e nel canto c’è da quando aveva 12 anni. Impressioni di un disco come “Oltre” che cerca un ricongiungimento con la sua stessa vita, con il sentire delicato del tempo e delle sue evoluzioni. Voce, pianoforte, archi… pochissimo altro. Tra l’italiano e l’inglese, canzoni pulite, ricche di umanità.
In “Oltre”, il tema della libertà personale si intreccia con il peso dei retaggi culturali. Come descriveresti il tuo rapporto personale con questi limiti e come li trasformi in musica?
I limiti ci aiutano a riflettere. Dipende da noi la scelta di sottostare ai retaggi o di trovare forze e coraggio per andare oltre. Non è facile, ma la libertà personale è troppo importante per essere messa a tacere. La musica è stata la via che mi ha aiutato a chiarire le idee, a canalizzare le intenzioni e le forze, per poter essere ogni giorno sempre più me stessa
Nel brano “Il silenzio”, parli di un ascolto profondo e sincero di sé stessi. Quanto questo concetto influenza la tua scrittura e la scelta delle pause musicali nel tuo album?
Ascoltarsi nel profondo è fondamentale per capire cosa vogliamo raccontare. Difficilmente scrivo qualcosa che è estraneo al mio sentire. Dalle mie sensazioni nascono riflessioni che poi, se sono fortunata, riesco a trasformare in musica. Le pause servono a dare spazio, a tenere in sospeso, a creare pathos. Ogni pausa è viva, è musica anch’essa.
E ancora: resilienza e accettazione. E tutto questo nel disco come si trasforma? Ne arrivi a soluzione? Ne sai prendere atto o sai anche risolverlo?
Ciò che posso cambiare, provo a cambiarlo, ma ciò che mi è impossibile trasformare posso solo che accettarlo. È prendere coscienza della realtà, senza combattere inutilmente contro i mulini a vento. Nella musica sto imparando a lasciar fluire, a dare ascolto alle sensazioni, senza incaponirmi su soluzioni armoniche complesse o melodie articolate, che a volte fanno perdere l’immediatezza del testo e delle emozioni che ne sono alla base.
Le immagini di attesa e di viaggio che emergono dai tuoi testi sembrano spesso riferirsi a un percorso intimo e privato direi anche. Cosa significa per te “viaggiare” nella musica, nel suono, nelle lingue che decidi di usare…?
Viaggiare nella musica è esplorare. Sonorità, soluzioni armoniche, linee melodiche, pause, ritmi, fonemi etc. E scegliere cosa risuona maggiormente con quel brano. Viaggiare è anche accettare di perdersi e trasformare quel momento di smarrimento in un’opportunità creativa.
Un po’ come quando parli della difficoltà di lasciar andare qualcuno. Come a dire dunque: questo disco ti è servito anche in questo? Oppure è grazie al disco che prendi atto?
Realizzare un disco serve, sì, anche per rielaborare ciò che è accaduto nella nostra vita, ciò che abbiamo vissuto e che – nel bene e nel male – ci ha portato ad essere ciò che siamo oggi.