Gabriele Coen Jewish Experience presenta il suo cd Yiddish melodies in jazz a la Casa del Jazz di Roma

Gabriele Coen Jewish Experience presenta il suo cd Yiddish melodies in jazz a la Casa del Jazz di Roma – Giovedi 4 aprile alle ore 21 a la Casa del Jazz, Gabriele Coen Jewish Experience, presenterà in concerto il suo nuovo cd,“Yiddish melodies in jazz”, realizzato per la “Tzadik” di John Zorn. Sul palco: Gabriele Coen, sax soprano, clarinetto, sax tenore, Pietro Lussu, pianoforte, Lutte Berg,chitarra elettrica, Marco Loddo, contrabbasso, Luca Caponi, batteria.

A due anni dal suo ingresso nella prestigiosa etichetta newyorkese di John Zorn, Gabriele Coen presenta il suo nuovo lavoro discografico per la “Tzadik” nella collana “Radical Jewish Culture” che John Zorn ha voluto dedicare alle migliori espressioni della nuova musica ebraica a livello internazionale.

In “Yiddish melodies in jazz”, Coen (sax soprano, tenore e clarinetto) conduce il suo ensemble (Pietro Lussu, pianoforte – Lutte Berg, chitarra elettrica – Marco Loddo, contrabbasso – Luca Caponi, batteria) al cuore del rapporto tra la musica ebraica e il jazz americano, esplorando l’influenza dell’eredità ebraica sul jazz attraverso una personale interpretazione di brani che sono diventati dei veri e propri classici della tradizione jazzistica.

Il debito della musica ebraica nei confronti del jazz da cui, negli Stati Uniti, ha saputo trarre nuova linfa vitale, è cosa nota e ampiamente indagata e si è tradotta, negli anni, in un nuovo tipo di musica che coniuga il sound ebraico con le nuove frontiere sonore offerte dal jazz e da altre culture musicali.

Gabriele Coen ci conduce ora alla scoperta della penetrazione delle sonorità ebraiche nel mainstream americano, presentando per la prima volta in chiave contemporanea una manciata di brani tratti dal repertorio della musica klezmer e della canzone yiddish che sono poi entrati a pieno diritto nella tradizione jazzistica nelle loro memorabili esecuzioni di Original Dixieland Jazz Band, Benny Goodman, Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Cab Calloway, Shelly Manne, Terry Gibbs, Herbie Mann.

Con l’eclettismo espressivo che è il segno distintivo del suo percorso artistico e di ricerca, Gabriele Coen presenta questi brani, affiancati da due composizioni originali, creando un’appassionante, inconsueta, lirica, esperienza musicale attraverso un tessuto sonoro che attinge al jazz, al rock, alla world music, senza mai dimenticare le radici ebraiche della sua ispirazione.

 

NOTE di Gabriele Coen

Dopo un disco molto personale ed emotivamente esplosivo come “Awakening”, che è stato, anche grazie all’entusiasmo di un produttore come John Zorn, una tappa fondamentale nella mia ricerca musicale, volevo che il mio nuovo lavoro fosse all’altezza della sfida continua che Zorn lancia a tutti noi raccolti nel progetto Tzadik con la sempre stimolante dichiarazione di intenti della collana che ci ospita (la Radical Jewish Culture). John Zorn ci invita a proporre una nuova musica ebraica capace di raccontare il passato e allo stesso tempo di proiettarsi verso il Ventunesimo secolo.

Ed era da molto tempo che sognavo di poter lavorare ad un progetto che coniugasse le due grandi passioni che hanno animato tutto il mio percorso artistico fino ad oggi, così ho concepito questo disco come un diario di bordo delle mie avventurose scoperte attraverso le geografie sonore della musica ebraica e del suo incontro con il jazz. Con “Yiddish Melodies in Jazz” ho voluto infatti raccontare, reinterpretandola e giocando con la cifra stilistica che appartiene a me e ai musicisti che mi accompagnano ancora una volta in questa avventura, una parte importante del jazz moderno, il suo debito segreto alla musicalità ebraica annidata nelle sonorità del mainsteam americano.

Il klezmer e la musica ebraica est-europea rappresentano da sempre una musica di fusione, il canto sinagogale mescolato con struggenti melodie zingare, con il folclore rumeno e con quello ucraino.

Sbarcati nel Nuovo Mondo, i klezmorim, musicisti girovaghi, furono naturalmente portati a confrontarsi con le altre culture in una dialettica continua tra conservazione della propria identità ed assimilazione alla nuova società americana. Sul piano musicale tutto ciò si è tradotto nel corso di tutto il Novecento, fino ad oggi, con l’avanguardia compositiva e interpretativa che fa capo a John Zorn, in un nuovo tipo di musica che coniuga il sound ebraico con le nuove frontiere sonore offerte dal jazz e dalle altre culture musicali presenti negli Stati Uniti.

Esistono dei punti di contatto innegabili tra la musica degli immigrati ebrei e le prime forme di jazz degli afroamericani. Prima di tutto, i musicisti di entrambe le tradizioni provenivano da ambienti socioeconomici e culturali dominati dallo strapotere dell’America bianca e protestante. Sul piano più strettamente musicale gli organici strumentali sono accomunati da una massiccia presenza di ottoni su cui domina il solismo del clarinetto. Se gli ebrei portarono a casa gli strumenti che avevano imparato a suonare nelle bande delle armate zariste, i musicisti afroamericani degli Stati del Sud si impossessarono di trombe e tromboni abbandonati dopo la fine della Guerra civile americana. Lo stesso approccio vocalizzante, l’uso del vibrato e dei glissati, il gusto per la varietà timbrica caratterizzano questi  due mondi musicali, più vicini di quanto si possa immaginare.

Ho cercato quindi di raccontare la storia di questo incontro attraverso le mie personali suggestioni e senza alcuna pretesa filologica: la scommessa è quella di riproporre in chiave contemporanea, attraverso scelte timbriche, armoniche e ritmiche che guardano all’attualità, un repertorio che ha attraversato in modo trasversale tutta la storia musicale del Novecento americano.

Il nostro viaggio inizia con Leena from Palestina, registrata nel 1920 dal cantante e attore di origine ebraica Eddie Cantor (all’anagrafe Israel Iskowitz), e subito ripresa nello stesso anno da Nick La Rocca con la sua famosissima Original Dixieland Jazz Band, prima orchestra in assoluto ad aver inciso dischi di jazz, a testimonianza dei primi innesti ebraici nel repertorio afroamericano. Abbiamo cercato con rispetto di giocare con le sonorità da ”primo jazz” di questo brano facendolo precedere da un nostro stralunato dialogo collettivo alla Tom Waits.

Gran parte del repertorio klezmer entrato poi nel mainstream americano è stato riproposto tra il 1937 e il 1941 dal clarinettista e band leader Benny Goodman (1909-1986). Incoronato King of Swing alla metà degli anni Trenta, Goodman era nato e cresciuto in una famiglia di ebrei polacchi, nel West Side di Chicago, una delle capitali del nascente jazz. Goodman coltivò sempre un rapporto ambivalente con la musica ebraica. Brillante solista di jazz, quanto impeccabile musicista classico, non suonò mai musica klezmer in modo diretto, ma ingaggiò nella sua orchestra il trombettista Ziggy Elman, esperto in jewish solos, e, affidandogli la rielaborazione in chiave jazzistica di alcuni brani yiddish, rivelò la sua simpatia e nostalgia per quel mondo musicale con cui era entrato in contatto da bambino. Ben quattro brani del nostro cd provengono da quel repertorio di confine. Il brano di Sholom Secunda Bei Mir Bist Du Schoen (memorabili anche le interpretazioni di Ella Fiztgerald e Shelly Manne) il tradizionale Der Shtiler Bulgar (ovvero il noto And The Angels Sing), Di Grine Kuzine di Abe Schwartz, riproposto come My Little Cousin, Yosel, Yosel, il brano della cantante e compositrice yiddish Nellie Casman, ribattezzato in un più rassicurante Joseph Joseph, registrato sia dalle Andrews Sisters che dal quartetto di Benny Goodman (insieme a Teddy Wilson, Lionel Hampton e Gene Krupa). Abbiamo voluto restituire i titoli in yiddish e recuperare a nostro modo alcuni umori ebraici, il tutto attraverso una cifra stilistica contemporanea che è messa in risalto dalle intuizioni interpretative della chitarra di Lutte Berg e dalla purezza stilistica di Pietro Lussu al pianoforte.

La stessa sensibilità ci ha avvicinati al lavoro del trombettista di Philadelphia Harry Finkleman, in arte Ziggy Elman (1914-1968), una delle colonne portanti dell’orchestra di Benny Goodman. Il suo Bublitcki (1938), remake del brano Beygelekh di Abe Schwartz, viene riproposto in questo nostro lavoro in una chiave che ci avvicina al drum&bass acustico, con un vibrante assolo di pianoforte a cui segue quello di sax tenore, incalzato dalla chitarra elettrica.

Per riproporre Yiddish Mame (1920), forse la canzone più nota di tutto il repertorio ebraico est-europeo, abbiamo scelto una atmosfera coltraniana, con la chitarra e il sax tenore che si muovono su un fondale in sei ottavi molto stimolante per i solisti. La commovente interpretazione di questa canzone lasciataci dalla signora del blues, Billie Holiday, durante una prova casalinga del 1956, è stata una delle scoperte più emozionanti di questo lungo viaggio sul confine tra jazz e musiche yiddish.

Liri è invece una composizione dedicata alla figlia dal musicista ed attore Mickey Katz (1909-1985), una delle colonne portanti  degli ambienti artistici ebraico-newyorchesi degli anni Cinquanta. I suoi testi, un divertente mix di yiddish e inglese, erano accompagnati da continue parodie musicali, da bizzarri cortocircuiti tra freylekhs e rumbe, tra musica da matrimoni e canzoncine commerciali. Il suo repertorio è stato magistralmente riportato alla luce nel 1993 dal clarinettista afroamericano Don Byron, il primo grande divulgatore di musica klezmer negli ambienti jazzistici. Abbiamo azzardato una nostra versione “afterhours” che parte come una free ballad per poi sfociare in un astratto andamento swing. Infine due parole sulle mie composizioni: Jewish Five, che ruota attorno a un rutilante tempo di cinque quarti ed alterna esplorazioni di modi ebraici a sonorità più decisamente jazzistiche e Mazal Tov From Tobago che è il mio personale omaggio al pianista Irving Fields, il precursore dell’incontro tra musica yiddish e sonorità caraibiche, folgorato da giovanissimo dall’incontro con la musica latina, maturato durante gli anni in cui suonava sulle navi da crociera dirette a Cuba e Portorico. Al centro del brano, il clarinetto, strumento molto diffuso nella musica popolare caraibica, stessa tradizione che ritroviamo a New Orleans dove la comunità creola esprimeva spesso grandi clarinettisti.

 

Casa del Jazz: viale di Porta Ardeatina, 55 Roma

Info: 06/704731

Ingresso  10 euro

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