Anthea D’Arrigo: a Genova negli anni ’90 con il suo nuovo romanzo

Con una penna delicata ma incisiva, Anthea D’Arrigo ci trasporta nella Genova degli anni ‘90 con questo nuovo romanzo dal titolo “La Solitudine delle Stelle a Mezzanotte”, primo volume di una saga in sette parti. Un romanzo che non si limita a raccontare, ma scava nelle profondità dell’animo umano, affrontando con intensità temi cruciali come l’identità LGBTQ+, la violenza di genere e il peso delle dinamiche familiari. Sono letture che in qualche modo scavano, seminano, lasciano ad ognuno la propria dose di somiglianza nelle normalità di oggi.

Il tuo romanzo esplora temi complessi come l’identità LGBTQ+ e le dinamiche familiari. Quali sfide hai affrontato nel rappresentare queste tematiche in modo autentico e sensibile?
Le esperienze in merito sono state diverse, non c’è che dire, così come le correlative sfide affrontate lungo tutti questi anni, nel trovare dentro la forza e il coraggio di esternare ciò che sentivo di essere. È indiscusso che tutto questo abbia reso “La Solitudine delle Stelle a Mezzanotte” assai di più di un comune romanzo scritto esclusivamente per svago. La speranza è sempre stata quella di scrivere un qualcosa che potesse considerarsi di ispirazione per le ragazze più giovani, magari della stessa età di Giulia e con le medesime difficoltà. È un po’ un viaggio introspettivo che ci si ritrova a fare, ed è questo che a volte può aiutare a focalizzare al meglio la propria strada. Insomma, spesso conoscere il percorso di qualcun altro è un ottimo modo per riflettere e prendere spunto, per vedere anche da un’altra prospettiva ciò che ci circonda. Ovviamente, parliamo di situazioni estremamente delicate, che lungo il romanzo sono state trattate con tutta la dovuta sensibilità e il rispetto del caso. Quando tali circostanze si vivono sulla propria pelle, se ne comprende a priori la complessità di fondo. Una delle sfide più toste affrontate, posso dire, è stata quella di pubblicare senza scegliere alcuno pseudonimo. Volevo che tra i pregi della storia ci fosse già alla base l’autenticità di una persona, prima che quella di una scrittrice o autrice, che dir si voglia.

Giulia Nicolini è un personaggio profondamente stratificato, con vulnerabilità nascoste e un percorso di crescita personale intenso. Cosa ti ha ispirato a creare il suo personaggio e come hai sviluppato la sua voce interiore?
Il personaggio di Giulia è stato uno dei più complessi da costruire. Non tanto perché si tratta della protagonista in sé, ma perché io e lei abbiamo condiviso gran parte delle esperienze raccontate, belle o brutte che siano. Renderla credibile, autentica e reale agli occhi dei lettori, ha richiesto ben nove anni. Giulia, in fin dei conti, racchiude frammenti del mio vissuto, frammenti di sogni, pensieri, speranze, gioie e dolori del passato. A volte sembra un riflesso di ciò che avrei voluto essere, altre volte, invece, la sento distante, come se non avessi niente in comune con lei. L’ho amata, odiata, compatita e persino ammirata. La sua voce interiore, perciò, è fatta di tutto questo: anni di esperienze e di riflessioni che, in un modo o nell’altro, hanno fatto crescere entrambe. Spero che ciò possa accadere anche a chi si ritrova dentro a questo romanzo/viaggio.

Genova degli anni ‘90 è una cornice suggestiva per la storia. In che modo la città diventa parte integrante della narrazione, influenzando il viaggio emotivo dei personaggi?
Credo che il decennio degli anni Novanta abbia influenzato nettamente ogni cosa, persino i rapporti tra i personaggi. Parliamo dell’ultima decade in cui, ad esempio, l’uso del cellulare era ancora insolito tra i giovani, così come del computer, e via discorrendo. Questi fattori mi hanno aiutata a incentrarmi maggiormente su concetti meravigliosi, come quello dell’attesa del voler vedere qualcuno, il valore dato ai momenti vissuti in compagnia e la semplicità della condivisione più autentica. Così, proporre una Genova anni ’90 ha incentivato persino i lettori a tornare indietro nel tempo e a rivivere un’epoca sì di indiscussi cambiamenti imminenti, ma anche di forte identità. Si ripercorrono gli anni delle uscite in scooter, delle lettere scritte a mano, delle telefonate dentro alle cabine telefoniche o delle radio che passavano le hit dance estive. Tutto questo, ovviamente, ha condizionato non solo lo sviluppo della narrazione, ma anche i legami instaurati tra i vari personaggi. Per i più nostalgici, questo romanzo è un viaggio a ritroso nei ricordi, senza ombra di dubbio!

La relazione tra Giulia e sua sorella Silvia è un elemento centrale del romanzo. Come hai costruito questa dinamica e quale messaggio speri che trasmetta ai lettori?
Ciò che lega Giulia e Silvia è l’amore puro, un fattore chiave in grado di modificare persino il corso degli eventi lungo i sette volumi. Il rapporto conflittuale con i genitori, soprattutto con la madre, è uno stato sofferto e condiviso da entrambe le sorelle. Logicamente, la differenza di età che intercorre tra le due, struttura già per natura il loro legame, in quanto Silvia assume il ruolo di figura autorevole e amorevole allo stesso tempo, come ci si aspetterebbe da una sorella più grande di otto anni. È il porto sicuro su cui Giulia getta più volte l’ancora. Eppure, le sorelle Nicolini sono profondamente diverse, e questo spesso è motivo di scontri e incomprensioni reciproche. Tuttavia, Silvia e il suo amore incondizionato, saranno fonte di ispirazione, riflessione e crescita per la nostra protagonista. Questo è uno spunto che smuove il lettore a riscoprire quanto, malgrado la diversità caratteriale renda a volte complicato interfacciarsi con qualcuno, sia pur sempre vero che, se c’è fiducia, rispetto e un sincero sentimento alla base, anche la persona più improbabile e “distante” da ciò che sei può davvero donarti tanto e fare un’immensa differenza.

La narrazione del libro è stata descritta come “cinematografica” e immersiva. Quali tecniche narrative hai utilizzato per creare un’esperienza così coinvolgente per i tuoi lettori?
Lavorare nel cinema mi ha insegnato a “raccontare per immagini”. Fondere la struttura narrativa del romanzo con quella della sceneggiatura è forse uno dei tratti più caratteristici dell’intera collana. Per spiegare brevemente cosa ci sia di cinematografico, tanto per cominciare, non posso non citare il concetto della soggettiva. La Solitudine delle Stelle a Mezzanotte è una soggettiva costante, che porta il lettore a vestire letteralmente i panni di Giulia. I suoi occhi diventano, non so, quelli di Simona, una mamma e agente immobiliare, o di Roberta, studentessa di Ingegneria… Insomma, chiunque legga il romanzo, non potrà non sentirsi Giulia e, a tratti, illudersi persino di aver scritto di proprio pugno questo diario di esperienze e di vita vissuta. Ma la visione cinematografica si sofferma anche sulle descrizioni accurate dei luoghi, degli stati d’animo e delle emozioni. Esperienze sensoriali vere e proprie che spiazzano, appassionano, commuovono e fanno sospirare. E tra gli elementi fondamentali che richiamano il mondo della scrittura cinematografica, non potevano mancare i dialoghi: quasi recitati, credibili e immersivi tanto da lasciar credere di esserci in carne e ossa. Infine, la struttura episodica non fa che marcare il richiamo al mondo audiovisivo, rendendo l’esperienza della lettura praticamente una sequenza di immagini più che di parole. Siete scettici? Provare per credere!

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