“36AM”: i Lokomorf e l’arte di trasformare l’esperienza in visione

Il debutto dei Lokomorf con 36AM è uno di quei casi in cui la maturità musicale non soffoca la spontaneità, ma la affina. Il progetto guidato da Rod Catani, toscano di origine ma cittadino del mondo per percorso e visione, trova in questo disco un punto d’equilibrio tra introspezione e dinamismo. Otto tracce che si muovono con libertà dentro un territorio rock alternativo in cui convivono echi di psichedelia, pulsioni grunge e spunti quasi cantautorali.

Registrato nei Little Canyon Studios di Valencia insieme al chitarrista e produttore Luis Martinez Marco, al batterista Jose Marco e alla cantante Ana Vidal, 36AM nasce da una sinergia reale, non costruita. L’intesa tra i quattro è tangibile: la sezione ritmica è solida ma elastica, la chitarra di Martinez disegna ambienti ricchi di dettagli, e la voce di Vidal introduce un contrasto interessante, un equilibrio costante fra dolcezza e tensione.

Il disco si apre con “Holefatto”, brano che mette subito in chiaro l’attitudine della band: un grunge denso ma non nostalgico, attraversato da una pulsazione contemporanea. “Komplexo di Superiorità” gioca invece su registri più ironici e taglienti, quasi teatrali, mentre “Cose Sbagliate” rivela il lato più intimo e melodico del progetto. “Suite Islandia”, brano strumentale di grande respiro, è forse la sorpresa del disco: un momento sospeso, dove il suono si fa paesaggio.

La scrittura di Catani alterna lucidità e disincanto, ma non rinuncia mai alla ricerca di una verità emotiva. Si percepisce un lavoro accurato sulle dinamiche, una cura nel far respirare i brani che li rende sempre vivi e coerenti. La chiusura con “Ode to Gagarin” è un finale perfetto: un racconto quasi cinematografico che lascia una sensazione di viaggio, non solo musicale ma umano.

Con 36AM, i Lokomorf firmano un debutto credibile, maturo e già personale, capace di parlare una lingua propria in un panorama spesso omologato.

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