Lucrezia Lante Della Rovere in prima nazionale in Come tu mi vuoi di Luigi Pirandello al Teatro Sala Umberto di Roma

29  gennaio –17 febbraio 2013

Pietro Mezzasoma presenta in prima nazionale Lucrezia Lante Della Rovere in COME TU MI VUOIdi Luigi Pirandello libero adattamento Masolino D’ Amico con Crescenza Guarnieri e Simone Colombari e con Raffaello Lombardi, Arcangelo Iannace, Andrea Gherpelli, Francesca Farcomeni

 

Note del’Autore

Scritta per Marta Abba, Come tu mi vuoi è la sola commedia di Pirandello ambientata almeno parzialmente fuori d’Italia – il prim’atto si svolge infatti a Berlino, nella Berlino degli ultimi anni venti, quella dei cabaret di Grosz e Kurt Weill, dove il drammaturgo soggiornò a lungo.

Qui la protagonista, una donna che l’autore chiama l’Ignota, balla e intrattiene i clienti in un locale equivoco, ma in realtà è mantenuta da un ricco e vizioso scrittore che la soffoca con le sue ossessioni. L’occasione per sfuggire a costui e alle ambigue profferte delle giovane figlia di costui, anch’essa innamorata di lei, si presenta all’Ignota quando uno sconosciuto, un italiano, riconosce o crede di riconoscere nella donna la moglie di un suo amico, scomparsa dieci anni prima durante la Grande Guerra, quando le truppe austrogermaniche invasero il paesino friulano dove la coppia abitava, saccheggiando la loro casa…

Ispirata dal caso Canella‐Bruneri che furoreggiava al tempo in cui la commedia fu scritta, Come tu mi vuoi ha una struttura molto compatta, composta com’è da questo antefatto torbido e misterioso – l’azione si risolve addirittura con un colpo di rivoltella – e poi da

una lunga conclusione, ovvero il secondo e il terz’atto che si svolgono senza soluzione di continuità, alcuni mesi dopo, in una villa friulana. Qui si cerca di stabilire definitivamente l’identità dell’Ignota mediante una sorta di processo familiare non privo di colpi di scena. Secondo il suo solito, Pirandello lascia che le cose si chiariscano gradualmente, tenendo lo spettatore il più possibile all’oscuro di quello che veramente accade e poi da ultimo sorprendendolo con un finale ambiguo, che ribadisce l’impossibilità di raggiungere una verità che valga per tutti.

Aderendo alle consuetudini del teatro dei suoi tempi, il drammaturgo previde un coro di comprimari abbastanza ampio – le compagnie erano numerose e bisognava utilizzare tutto l’organico – ma già Hollywood, che si impossessò subito del soggetto e ne trasse un film con alcune delle maggiori star dell’epoca (Greta Garbo, Eric Von Stroheim, Melvyn Douglas) asciugò il copione riducendolo all’essenziale, non molto diversamente da come ha fatto tre o quattro anni fa Hugh Whitemore in una versione inglese che è stata recitata con gran successo nel West End di Londra da una compagnia in cui spiccavano Kristin Scott‐Thomas e Bob Hoskins.

Quel film e quell’adattamento, pur alquanto liberi entrambi, hanno dimostrato quanta forza ci sia dentro questo testo, soprattutto se lo si sfronda di certe ripetizioni ed esitazioni nate ad uso di un pubblico meno smaliziato e più paziente di quello moderno e se si eliminano non pochi personaggi molto minori, privi di funzioni essenziali.

Così decantato, meglio ancora se recitato senz’altra cesura che quella tra il cupo antefatto nella cupa Berlino dell’Opera da tre soldi e il “processo” nella luminosa villa italiana, il dramma avvince non meno di quelli del Pirandello più inquietante. Questa almeno è stata la meditata convinzione che mi ha guidato nel mio adattamento per otto personaggi soltanto, ciascuno dei quali ha una sua funzione determinante e ciascuno dei quali dà all’attore materia in cui affondare i denti.

Niente di fondamentale ovviamente è stato omesso e il linguaggio così caratteristico di Pirandello è stato rispettato senza alcun tentativo di attualizzazione; ma oso dire che così liberato dagli orpelli, questo linguaggio risulta ancora più incisivo che nel dettato originale. A decidere saranno comunque gli spettatori di questa pièce che non si ha spesso l’occasione di ascoltare.

Masolino D’Amico

 

Note di regia

Al centro di questa opera, come in tutte quelle di Pirandello, c’è sempre questa ricerca spasmodica dell’identità. La ricerca della propria identità è un tema molto legato a questo periodo storico, dove la ricerca non avviene dentro, ma fuori, nel riflesso degli occhi dell’altro. Pian piano si diventa quel riflesso, che ci allontana sempre di più dal proprio sé; si diventa altro da sé; si diventa quello che gli altri hanno deciso: “Non ci sono prove contrarie che tengono quando si vuol credere in quello che si vuol credere”.

Così inizia questo gioco al massacro da parte della protagonista che è pronta ad essere “Come tu mi vuoi” ma con autenticità, con verità. Raccontare tutto questo con il teatro, dove la verità non esiste, ma dove tutto deve essere estremamente autentico, per poter far risuonare lo scricchiolio dell’anima dei personaggi.

La mia lettura si fonda esattamente su questa ricerca delirante dell’autenticità e per poterla trovare bisognerà perdersi nei tunnel oscuri della memoria; la memoria del sentire e non quella dei fatti, delle prove.

L’Ignota nel suo tentativo di essere “come tu mi vuoi” prova a cercare la propria identità nella logica razionale, ma non trova nulla, perchè non riesce a fingere al suo sentire; così porta al rovesciamento del reale all’irreale facendo cadere tutti nel burrone della follia.

Solo tra le pieghe della follia che si riesce a sentire un lontano odore di autenticità.

Vivere della propria fantasia e non della propria storia!

Francesco Zecca

 

Scene Francesco Ghisu

Musiche originali Paolo Daniele

Costumi Annapaola Brancia D’apricena

Luci Valerio Peroni

 

Lisa angiolillo

 

Coreografia “Come tu mi vuoi” di Simone Di Pasquale e Daniela Ayala

 

regia di  Francesco Zecca

 

SALA UMBERTO

Via della Mercede, 50

(06.8068723169925819/ 06.6794753

Prezzi: da  € 32 a € 12

Orari: dal martedì al sabato ore 21, 2° mercoledì ore 17, sabato ore 17 e 21, domenica ore 17

 

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