L’ambulanza nera che rapiva i bambini

L’ambulanza nera che rapiva i bambini – Si narra che, negli anni ’90, nel Sud Italia girasse voce di un’ambulanza nera che si aggirava per le vie dei paesi alla ricerca di bambini da rapire. Il via a questa leggenda sembrerebbe essere stato il ritrovamento di un bambino, trovato morto e senza occhi, nelle vicinanze del lago di Penne.

L’uomo cattivo, l’uomo nero e il vecchietto dal naso storto e la strega cattiva furono sostituiti dall’ambulanza nera. I genitori, terrorizzati dalla storia di quest’ambulanza che si aggirava principalmente nei pressi delle scuole e delle fermate dei pulmini, iniziarono ad accompagnare ed a riprendere i propri figli ogni volta che quest’ultimi dovevano andare da qualche parte e, non si stancavano mai di ripetere: “Non parlare con gli sconosciuti, non accettare nulla da chi non conosci”.

La storia dell’ambulanza sconvolse grandi e piccini scatenando delle vere e proprie fobie: i bambini si rifiutavano di andare a scuola, in palestra o al cinema, i genitori ad ogni piccolo ritardo del loro adorato figlioletto chiamavano le forze dell’ordine, i cui centralini furono letteralmente presi d’assalto.

Iniziarono anche a girare delle congetture su che fine facessero i bambini che venivano rapiti e, la più diffusa era quella che venivano utilizzati per il traffico di organi. Potete immaginare il clima di terrore che si viveva in quei tempi e come venivano guardati gli operatori del soccorso ed i carabinieri. Sì, perché sull’ambulanza nera, sembra che ci fossero due infermieri e due finti carabinieri che, dopo aver individuato il bambino da rapire, lo invitavano a seguirli, a salire sull’ambulanza utilizzando delle scuse come: i tuoi genitori hanno avuto un incidente, sali che ti accompagniamo da loro e così via.

Si racconta che furono rapiti molti bimbi ma, di queste storie non si è trovato alcun riscontro nella realtà ma la paura che i bambini venissero rapiti ha continuato ad agitare gli animi dei genitori per molto molto tempo.

“Il piccolo indossava un pigiama di cotone azzurro, sporco di sangue sul fianco destro. La dottoressa cercò di capire da dove provenisse quel versamento. Sembrava una ferita localizzata nella fascia lombare. Sollevò la maglietta con cautela per controllare e trasalì. C’era un bendaggio imbevuto di sangue con un tubicino da drenaggio che spuntava al centro. A occhio e croce, sembrava la medicazione post-operatoria di un intervento chirurgico al rene. Alessandra provò un forte senso di irrealtà. Per quanto ne sapeva lei non c’erano ospedali lì vicino. Forse una clinica privata.

Avevano spalmato il petto del bambino di gelatina grigia, poi gli avevano applicato gli elettrodi a ventosa dell’elettrocardiografo. Alessandra controllò il monitor, il battito del cuore adesso era regolare. La pressione però stava calando in fretta, era già sui valori di novanta-sessanta, forse un effetto collaterale dell’antinfiammatorio che gli avevano somministrato. Sotto il bendaggio, la presenza di diversi punti di sutura ancora arrossati aveva confermato l’ipotesi iniziale: il piccolo era stato sottoposto a un intervento chirurgico al rene.
Da non più di una settimana, pensò la dottoressa.”
Tratto da Resurrectum,Gianfranco Nerozzi, Dario Flaccovio Editore 2005.

Articolo precedenteI concerti di marzo all’Estragon di Bologna
Articolo successivoEugenio Finardi, presenta il suo triplo cd Sessanta