Educa: quando identità significa anche indossare un paio di jeans

Educa: quando identità significa anche indossare un paio di jeans – Immigrati di seconda e di terza generazione: quando possono iniziare a essere considerati italiani? Una questione che coinvolge in modo particolare i ragazzi adolescenti alla ricerca della loro identità. “Come si gestisce dentro di sé, “a 17 anni”, il conflitto tra culture”, quando a scuola ti vesti all’occidentale, ma in vacanza dai parenti devi lasciare a casa i jeans?

Una ragazza di 17 anni nata in Tunisia e arrivata in Italia all’età di due anni è italiana o tunisina? Con questo quesito don Vito Impellizzeri, docente di Teologia Dogmatica presso la Facoltà Teologica di Sicilia, ha aperto stamani l’incontro “Genesi di identità plurali”. Scardinando tutti i meccanismi dell’incontro tradizionale, don Vito si è messo al centro dell’aula e ha iniziato un dialogo di quasi due ore con i tanti giovani presenti, tra cui una sessantina di studenti dell’Istituto socio-psico-pedagogico di Rovereto.

Attraverso esempi concreti don Vito ha fatto metaforicamente vestire ai ragazzi presenti i panni di quella ragazza di origine tunisina di cui ha parlato all’inizio. Una ragazza che si sente italiana, che dai suoi compagni di scuola viene considerata tunisina, che veste all’occidentale ma quando va in vacanza dai parenti a Tunisi deve lasciare i jeans a casa perché il nonno non capirebbe. “Come pensate si senta? A quale cultura pensate senta di appartenere?”

Attraverso esempi concreti, che don Vito ha raccolto a Mazzara del Vallo dove è impegnato in iniziative per creare un ponte tra gli italiani e i tanti nordafricani che vivono in città, sono stati affrontati i conflitti interni che si trovano a vivere gli immigrati di seconda generazione, ragazzi venuti in Italia da piccoli con la famiglia e l’obiettivo di tornare nella terra di origine dopo “aver fatto un po’ di soldi e terminata la scuola“. Oggi questo obiettivo è cambiato e sono sempre di più gli immigrati che comprano casa in Italia. “E in ogni caso che senso avrebbe il ‘tornare’ per questi ragazzi? Come possono tornare in un Paese dove non hanno mai vissuto veramente?”.

I primi amori, le feste di compleanno, lo shopping con le amiche: tutte cose normali nella vita di un qualsiasi adolescente, che per ragazzi in bilico tra due culture diventano momenti in cui porsi delle domande sulla propria identità. “Una ragazza di origine tunisina che, come tutte le sue coetanee, si innamora magari di un ragazzo italiano come può parlarne a casa coi genitori?” Un adolescente figlio di immigrati deve fare i conti con i passaggi naturali del crescere, come l’innamoramento, il rapporto coi genitori e la percezione del futuro, ma per lui si complicano ulteriormente.

E poi c’è la terza generazione, quella dei bambini nati in Italia da genitori di origine straniera. Anche loro non vengono considerati italiani perché “attualmente non basta essere nati in un Paese per essere di quel Paese”, ma rappresentano comunque una speranza. E in questo caso l’incertezza “è totale perché con loro sta cambiando tutto, sta crescendo una nuova realtà”.

L’incontro tra culture è al centro anche della mostra allestita al Palazzo dell’Istruzione (di Corso Bettini), dalla cooperativa sociale “Occhi Aperti” e presentata al termine dell’incontro con don Vito.

La rassegna raccoglie le opere realizzate da artisti di tutto il mondo in occasione del “Simposio internazionale d’arte contemporanea di Scampia”.

 

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