Andare a Canossa – seconda e ultima parte

Andare a Canossa – seconda e ultima parte – In conclusione della parte prima, vi ho chiesto se riteniate l’umiliazione cui Enrico IV fu costretto a sottostare sia passata alla storia come un successo del pontificato gregoriano. Non pensate che il papa – alla maniera di una telenovela – sia uscito dal portone del castello di Canossa ad abbracciare il penitente sovrano e l’abbia paternamente perdonato, mettendo una pietra su tutto il pregresso.

I due contendenti rimasero ospiti della contessa Matilde e, in un clima di incertezza e reciproco sospetto, stabilirono i termini della riconciliazione. In base agli accordi, il re germanico si impegnava a convocare ad Augsburg un’assemblea dotata di potestà decisionale e presieduta dall’arbitrato di Gregorio VII: a questo consesso Enrico doveva sottoporre la sua posizione ed accettarne le conclusioni. Tuttavia, detta assemblea mai si riunì perché il sovrano necessitava di prendere tempo e organizzare la risposta allo scacco subito nel parmense. E ciò segnò il più evidente successo reale e l’inizio del declino della potestà politica della Sede Apostolica. Né sortirono effetto i rinnovati strali partiti da Roma, insieme alla conferma dei provvedimenti di interdizione lanciati in precedenza.

Difatti, nel 1080, Enrico IV mosse una vittoriosa guerra contro Rodolfo di Svevia e, debellato l’antagonista, scese in Italia alla guida di una poderosa armata, forte anche della decisione del sinodo episcopale di Bressanone che aveva elevato al trono di Pietro l’antipapa Wiberto, con il nome di Clemente III. Divenne chiaro come la contesa non potesse risolversi che con un conflitto bellico, il quale avrebbe avuto Roma come palcoscenico principale.

La Santa Sede era priva di risorse e non poteva contare sull’aiuto di Matilde, impegnata a difendere i propri confini dall’avanzare delle truppe tedesche e abbandonata da molti vassalli, soprattutto quelli della Toscana. Per di più, ella considerava Gregorio VII il primo responsabile di quanto si stava verificando ed assunse una posizione che, negli anni, fini con il rifiutare l’appoggio al pontificato romano. Trascorsero comunque quattro anni prima che le soldatesche reali prendessero quartiere davanti alle mura dell’Urbe, dopo aver piegato le ultime resistenze della contessa di Canossa.

Contemporaneamente, all’interno della Curia pontificia si facevano sentire le prime profonde incrinature, tanto che il sinodo romano del 1082 contestò duramente al Santo Padre di sostenere l’opposizione contro il re Enrico, attingendo fondi di finanziamento dall’Obolo di San Pietro. Nel 1084, Enrico conquistò Roma e ufficializzò l’elezione pontificale di Clemente III, ricevendone in cambio la consacrazione a imperatore con la Corona di Ferro. In soccorso di papa Gregorio, rifugiatosi a Castel Sant’Angelo accorsero, seppure con molto ritardo, le truppe normanne di Roberto il Guiscardo: non vi furono però scontri tra gli opposti schieramenti in quanto Enrico, ricevuta la notizia dell’imminente arrivo degli alleati del Papa, non volle affrontarli in battaglia e si ritirò.

Dunque, i normanni erano giunti a Roma per niente? In qualche modo questi rudi combattenti del Nord Europa doveva essere pagati, magari con un lauto bottino. E fu così che il c.d. “sacco di Roma” – di cui copiosamente trattano le Cronache del fiorentino Giovanni Villani (deceduto durante l’epidemia di “morte nera” di cui vi ho già parlato) – non avvenne a opera dei soldati assedianti bensì dei liberatori che, per tre giorni, depredarono la città con sistematica perizia, neppure risparmiando le Basiliche.

Toccò al Pontefice Pasquale II (Raniero di Bleda, salito alla cattedra nel 1099, dopo Vittore III e Urbano II) intraprendere un programma di ricostruzione che, partendo dall’eliminare le tracce della devastazione del 1084, diede origine a una rinnovata collaborazione con i residenti e segnò l’inizio del notevole sforzo di riedificazione che contraddistinse la storia romana nei secc. XII-XIII.

Siamo giunti alla fine? Purtroppo no, cari lettori: Enrico IV era stato sì consacrato imperatore, ma da un pontefice illegittimo e la lotta tra Papato e Impero non poteva ritenersi conclusa. Se vi va, ne parleremo in seguito.

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